Soldati dell’esercito italiano in rassegna
Nicolò Errico
Da anni la questione della coscrizione obbligatoria ritorna puntuale nel dibattito politico. Tra gli ultimi esempi, le dichiarazioni del senatore Matteo Salvini, che al problema delle baby-gang trova immediatamente una soluzione, rapida e facile (a dirsi), e cioè il ripristino del servizio militare obbligatorio – folkloristicamente noto come naja – abbandonato dall’Italia nel 2004 e poi effettivamente nel 2005 dopo 143 anni di vigore.
Difficilmente il tema entrerà nell’agenda dei prossimi governi, persino in caso di vittoria delle destre, e men che mai in quello del Presidente Draghi. La leva non è particolarmente apprezzata dai vertici militari, che vedono più di buon occhio forze armate composte da professionisti volontari piuttosto che da migliaia di ragazzi costretti contro la propria volontà. Eppure il tema ricorre, con tanto di proposte di legge che cadono nel vuoto ogni anno, dalla mini-naja a quella più recente, sempre in casa Lega, di stabilire un servizio militare di 6 mesi su base regionale. L’idea stuzzica anche l’estero, con ad esempio il Presidente Macron che propone il ritorno al servizio obbligatorio (in Francia sospeso dal 1997), salvo poi dimenticare l’idea alla luce di tutti gli altri problemi che hanno travolto la sua presidenza.
Nonostante appaia così lontano alle nuove generazioni di cittadini italiani, il servizio militare obbligatorio è una pratica ancora molto diffusa nel continente europeo e tra i membri dell’Unione Europea stessi. Più di quanto si possa credere.
L’Austria ha riconfermato attraverso referendum nel 2013 il mantenimento della coscrizione obbligatoria per i cittadini di sesso maschile dai 18 anni per una durata minima di 6 mesi. Resta la possibilità di scegliere 9 mesi di servizio civile per gli obiettori di coscienza, quelle persone che per motivi personali – come la fede religiosa, ad esempio – rifiutano di prestare servizio militare.
Anche la Danimarca ha in vigore la coscrizione obbligatoria per i maschi dai 18 in su, le donne possono partecipare ma senza obbligo. In questo caso il servizio obbligatorio è stabilito dalla Costituzione stessa del paese, rendendo così ancora più difficile la sua abolizione/sospensione.
Insieme alla Svizzera, questi pacifici paesi sono casi che possono stupire. Al contrario, altri Stati – sebbene non siano comunque bellicosi – mantengono il servizio militare per posizionarsi con forza nello scacchiere geopolitico in cui si trovano.
Ad esempio, nel Mediterraneo orientale, l’eterna tensione tra Grecia e Turchia viene ancora pagata con gli anni dei giovani cittadini maschi della regione.
Cipro, paese al centro della contesa tra Grecia e Turchia dagli anni ’60, solo recentemente ha diminuito la durata del servizio militare obbligatorio per i cittadini maschi ciprioti da 24 a 14 mesi.
La Grecia, anche qui su base costituzionale, ha in vigore la leva dal 1914. Il servizio dura tra i nove mesi e un anno e solo nel 1997 è stato introdotto il servizio alternativo per gli obiettori, dalla durata maggiore. Tuttavia, pare che sia molto difficile farsi accettare per i giovani greci, costretti così ad arruolarsi. I vari governi hanno discusso diverse riforme, e l’esercito greco ha più volte richiesto l’abolizione/sospensione della leva per potersi trasformare in un esercito professionale. Tuttavia le crisi al confine greco-turco e la carenza di volontari hanno fatto sì che il servizio venisse ridotto piuttosto che cancellato. Dall’altro lato, la Turchia, paese di straordinaria tradizione militare, impone dal 1919 il servizio maschile obbligatorio. Se si pensa che anche la Repubblica della Macedonia del Nord stabilisce la coscrizione, ne risulta che quasi l’intera regione mantiene l’arruolamento obbligatorio, sia per tradizioni costituzionali e legali che per ragioni politico-militari.
Un altro teatro di tensioni è l’area del Baltico-Scandinavia, dove nemici di lunga data sono obbligati a un complicato vicinato. Tra i paesi baltici, Estonia (con la possibilità per le donne di iscriversi) e Lituania (servizio obbligatorio parziale, non universale, maschile), mentre tra quelli scandinavi si trovano Norvegia, Finlandia e Svezia, insieme alla già citata Danimarca.
Se la Finlandia costituzionalmente impone il servizio militare maschile (e femminile su base volontaria) da circa cento anni, la Svezia rappresenta un caso particolare di uso geopolitico della leva.
L’antica caserma d’Europa, paese di lunga vocazione militare, ha infatti sospeso la coscrizione nel 2010 per poi ripristinarla nel 2017 per sia maschi che femmine, con il malumore dell’esercito svedese. La ragione si trova nelle pericolose provocazioni dell’aviazione e della marina russa, fatte di sconfinamenti e manovre non annunciate in territorio svedese. Per l’appunto, anche la Russia impone la leva maschile obbligatoria, solo da pochi anni dimezzata da due ad un anno.
Il ritorno della storica rivalità con la Russia ha spinto il paese scandinavo, fedele membro della NATO, non solo a reintrodurre la leva, ma anche a redistribuire guide di sopravvivenza in caso di guerra per i cittadini e a rimilitarizzare la strategica isola di Gotland. Stessa politica adottata dalla Lituania, che ha reintrodotto la leva nel 2015 a causa dell’invasione russa della Crimea.
La mappa del servizio militare obbligatorio è molto variegata e non si esaurisce in questo articolo. I casi sono tanti e diversi nel continente, dalla Svizzera all’Ucraina, dall’Albania all’esempio dell’Olanda – che ad esempio non stabilisce la prestazione del servizio ma comunque iscrive al compimento dei 18 anni i maschi nelle liste di coscrizione per poter chiamare i cittadini in caso di guerra. Per non parlare del resto del mondo, dove la pratica è ancora largamente diffusa.
Cambiano le modalità, le età di arruolamento, la presenza di un servizio civile o meno come alternativa, ma è importante sottolineare come, nell’eventualità di una guerra, quasi tutti gli Stati europei (e del mondo) prevedono l’imposizione della leva obbligatoria universale maschile. Come nel caso dell’Italia, dove la cosiddetta naja non è stata abolita, bensì sospesa a tempo indeterminato. Le ragioni per cui questo avvenne sono state presto dimenticate dai difensori della reintroduzione. Un grave numero di suicidi, morti sospette (si veda al caso del parà Emanuele Scieri), diffusi traumi psicologici e anche un grave impatto sul percorso di studi e di formazione lavorativa dei giovani italiani, costretti a sospendere tutte le proprie attività per un anno.
Gli esempi come quello svedese o lituano dimostrano la facilità con cui i governi possono reintrodurre un servizio obbligatorio anche solo sulla base della paura del prossimo. E in un mondo che continua ad avere paura dei propri vicini, dove le dimostrazioni di forza purtroppo contano ancora molto, il rischio che venga reintrodotto anche in Italia non è mai del tutto evitato.