Particularia

Art Nouveau e Indipendentismo slavo nell’opera di Alphonse Mucha

Pierluigi Finolezzi

L’obiettivo del mio lavoro non è mai stato distruggere, ma costruire, collegare. Dobbiamo sperare che l’umanità si stringa a sé, perché sarà tutto più semplice quanto più saremo in grado di capirci.

Il nome di Alphonse Mucha è, senza alcun dubbio, sinonimo di art nouveau e di stile liberty, ma il suo essere un artista poliedrico lo ha reso straordinariamente versatile e prolifico, a tal punto da lasciare il segno in campi diversi: manifesti, gioielli, allestimenti da interno, articoli di design, scenografie teatrali, packaging, dipinti, volumi illustrati, sculture e fotografie. Molte delle sue opere hanno segnato la storia della grafica moderna, della quale a buon titolo può essere considerato il padre. Mucha credeva fortemente nel valore universale dell’arte ed era dell’idea che l’artista dovesse ispirare la gente e tendere, attraverso la propria opera, al progresso della società, in piena sintonia con quegli ideali massonici ai quali aderì fermamente a partire dal 1898.

Nato nel 1960 a Ivančice, in Moravia, l’artista mostrò il suo talento sin dall’adolescenza mettendosi al servizio della causa politica, illustrando il giornale satirico locale e decorando auditorium. Dopo aver studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Monaco, nel 1887 si trasferì a Parigi dove, grazie ai finanziamenti del conte Eduard Khuen-Belasi, frequentò l’Académie Julian, sotto la guida di Lefebvre e di Laurens, e legò in amicizia con Paul Sérusier, fondatore del Gruppo dei Nabis. Dal loro modo di concepire l’opera d’arte, che non doveva mai essere fine a se stessa, ereditò l’importanza della soggettività dell’artista e del folklore come fonte di ispirazione creativa. La capitale francese nella quale si inserì Mucha era una città in piena Bella Époque, aperta a profonde trasformazioni culturali e sociali, dove continuamente giungevano stranieri provenienti dalle colonie e dall’Europa Orientale. Numerosi erano anche gli artisti di provenienza slava e per loro Mucha aprì il Club Lada. Il 1889 fu un anno di difficoltà economiche per l’artista ceco, legate al venire meno della protezione e dei fondi del suo mecenate, ma la rivoluzione delle tecniche di stampa e la sua formazione accademica tradizionale gli fornirono delle nuove possibilità, pur destinandolo ad una vita da bohèmien. Negli ambienti degli artisti squattrinati conobbe il pittore Paul Gauguin e lo scrittore August Strindberg, mentre sempre più andavano rafforzandosi i suoi legami con il mondo dell’editoria e della stampa. Fu proprio negli ambienti della nuova industria libraria che fu decretata la fama dell’arte di Mucha e la sua diffusione internazionale.

L’anno di svolta è il 1895. Siegfrid Bing apre a Parigi la Maison de l’Art Nouveau che non mostrandosi impassibile ai nuovi cambiamenti sociali, politici e tecnologici lancia i presupposti per un movimento che rivendica a pieno diritto un’arte del tutto nuova: è l’atto di nascita dell’Art Nouveau che, nata in Francia, comincerà a diffondersi a partire dal 1900 in tutta Europa, coinvolgendo tutte le arti. Nonostante le diverse specificità nazionali, l’Art Nouveau utilizzava un linguaggio comune rappresentato da eleganti linee curve, fiori e motivi fitomorfi, slanciate figure femminili dai capelli fluenti. Nonostante la sua presenza a Parigi, Mucha non ama parlare di art nouveau, anzi si mostra riluttante verso il nuovo movimento al punto da affermare che l’arte non può mai essere nuova dal momento che essa, essendo una realtà esterna per definizione, è sempre estranea alle mode passeggere e al trascorrere del tempo. Indifferente verso i circoli avanguardistici e avverso ai canoni oggettivi espressi da chi difendeva “l’arte per l’arte”, l’artista predilige tradurre in immagini le sue idee soggettive. Pur ponendosi così lontano dall’Art Nouveau, Mucha finisce con l’edificare la sua fama proprio in quel movimento tanto sensibile alle mode che ogni giorno si impegnava di rifiutare, rivendicando, invece, orgogliosamente le influenze che egli stesso aveva saputo apportare a questa nuova sensibilità artistica, prima tra tutte l’introduzione dell’elemento slavo, emblema del suo ardente patriottismo. È così che inizia a prendere forma quello stile caratterizzato da linee curve e morbide, conosciuto come “stile Mucha”, ma che altro non è se non il linguaggio dello “stile art nouveau”.

Gismonde

Protagoniste indiscusse delle sue opere sono le donne: donne sorridenti, sensuali, sinuose, dalle forme morbide e dai volti gentili; donne dagli sguardi fragili, materne, protettive, sante e innamorate, Giovanne d’Arco e Medee; donne sconosciute e altre celebri come Ethel Barrymore, Leslie Carter, Maude Adams e Halide Edip Adivar, ma soprattutto Sarah Bernhardt, la “divina” attrice che in quegli anni calcava i principali teatri francesi. E proprio lei insieme alla componente slava sono i soggetti del primo celebre cartellone teatrale di Mucha, Gismonde, destinato a rivoluzionare il design dei manifesti pubblicitari e a produrre un forte impatto visivo nei contemporanei che lo paragonarono a una “rivelazione divina” che si materializzava con l’effetto sintetico delle lumeggiature dei colori e dei motivi bizantineggianti. La cultura bizantina era ritenuta dagli artisti dell’Europa Orientale la matrice spirituale della cultura slava e ad essa si possono ricondurre numerose implicazioni spirituali presenti nel manifesto, come il costume riccamente ornato di Sarah-Gismonde, la parete di fondo a tessere musive che con la croce ortodossa e la sua profondità trasformava la protagonista del dramma di Victorien Sardou in una santa racchiusa in una nicchia absidale. Per l’osservatore comune che non aveva alcuna dimestichezza con l’arte orientale e l’iconografia slava, le immagini nascondevano un gusto per l’esotico e per il misterioso che tuttavia consentivano di cogliere l’aura mistica e la particolarità dell’arte di Mucha. Lo slavismo e l’iconografia orientale sperimentati in questo primo capolavoro grafico ritorneranno quasi in tutte le realizzazioni successive al 1896 come Biéres de Meuse, Savon Notre Dame e Fantasticherie, veri prototipi dello “stile Mucha” dove le immagini sono rese su modelli sacri slavi, ricorrendo a elementi ornamentali come fiori, arabeschi, disegni geometrici tipici del barocco ceco e a costumi tradizionali intarsiati di pizzi e di ricami.

Poster per l’esposizione
presso Salon des Cent

Il 1897 è l’anno della consacrazione nel panorama parigino grazie ad un’esposizione personale di ben 448 manifesti tenutasi presso il Salon des Cent. Il poster della mostra fu realizzato dallo stesso Mucha che per la prima volta esprime il desiderio di voler mettere la sua arte a servizio della patria: una ragazza ceca con sul capo una corona di margherite impugna una penna e porta in primo piano una tavola sulla quale ha disegnato un cuore con tre corone rispettivamente di spine, di frutta e di fiori, chiara allusione alla sofferenza della madrepatria e alla speranza del popolo ceco di ottenere l’indipendenza dall’Impero Austro-Ungarico. Questa consacrazione fu poi consolidata definitivamente nell’Esposizione Universale del 1900, per la quale Mucha ricevette numerose committenze e grazie alla quale ottenne visibilità internazionale, divenendo di fatto uno degli artisti più noti e imitati nel mondo. Le sue immagini circolavano per le strade, ma anche tra i lavoratori e nelle fabbriche, contribuendo alla diffusione dello stile Mucha e al successo dell’Art Nouveau.

Epopea slava

Fu proprio dall’antitetica alchimia tra massoneria e spiritualismo che Mucha estrasse i propri principi filosofici e le sue utopie sul genere umano e a far convergere nel suo pensiero ideologie opposte come il liberalismo e l’esclusivismo nazionalista, concepito però in maniera del tutto originale. Questo nuovo modo di percezione indirizzò l’artista verso un’altra dissertazione filosofica in pittura, L’Epopea slava, il monumentale capolavoro che valse a Mucha l’appellativo di “grande ceco”. Attraverso venti tele che dovevano rappresentare episodi della storia ceca e dei popoli slavi è espressa la volontà di rivelare quella “luce grande e gloriosa che rischiara l’animo di tutte le genti con i suoi ideali puri e i suoi ardenti moniti”. Gli slavi dovevano guardare al loro passato e imparare da esso per poter progredire verso il futuro e la libertà. Tra il 1904 e il 1909 Mucha si recò negli Stati Uniti per raccogliere fondi per il suo progetto. Qui conobbe Charles Richard Crane che da convinto slavofilo decise di finanziare l’Epopea, ma anche Tomáš Masaryk, il filosofo ceco che divenne il primo presidente della Cecoslovacchia indipendente e un giovanissimo Woodrow Wilson, il futuro presidente statunitense che nel 1918 favorì l’indipendenza del popolo cecoslovacco dall’Austria-Ungheria. Grazie al ricco finanziatore nel 1911 Mucha cominciò il suo lavoro presso il castello di Zbiroh nella Boemia Occidentale. La serie di tele fu poi esposta dal 1919 al 1928 provocando il risentimento di molti artisti e contemporanei che la considerarono anacronistica per il suo tema storico, fortemente ancorato all’accademismo ottocentesco, e soprattutto fuori luogo dal momento che dal 1918 la Cecoslovacchia aveva ottenuto l’indipendenza. L’Epopea va, però, ben oltre la storicità del suo soggetto, dato che l’artista l’ha concepita come un messaggio messianico che invitava tutti gli slavi a imparare dalla loro storia e a farsi guidare dalla luce per poter percorrere la strada del progresso proiettata verso il futuro. Nel 1928, in occasione del decimo anniversario dell’indipendenza, Mucha e Crane donarono l’intero ciclo alla città di Praga. Durante la cerimonia un quasi settantenne Mucha si rivolse ai suoi compatrioti rimarcando la sua convinzione che lo sviluppo di ogni nazione non si potesse compiere se non partendo dalle proprie radici e dal proprio passato, rivelando inoltre l’essenza del suo fervido e anacronistico nazionalismo, finalizzato a costruire e a unire e mai a distruggere e a dividere. La speranza di vedere un’intera umanità camminare all’unanimità e con comprensione reciproca è il punto di arrivo dell’arte di Mucha che concependo bellezza, verità e amore come i tre capisaldi del genere umano giunge involontariamente a migliorare il mondo e a favorire il progresso.

Il veloce raggiungimento della fama portò, però, presto l’artista a uno scollamento sempre più evidente tra il suo successo internazionale e le sue reali aspirazioni spirituali. La continua ricerca di “mezzi per diffondere la luce” lo indirizzò verso un’attenta analisi del Padre nostro che culminò con la realizzazione del progetto del libro illustrato Le Pater. La preghiera cristiana era capace, infatti, di esprimere un messaggio universale che ben si concordava con le idee umanitarie che l’artista voleva manifestare attraverso l’espressione pittorica delle parole del Padre nostro. Mucha divise il testo in sette righe, ne analizzò il contenuto e diede ad un’ognuna una sua personale interpretazione mediante una terna di pagine illustrate secondo stili diversi. L’opera mostra il graduale passaggio dell’umanità dall’oscurantismo dell’ignoranza fino all’incontro con Dio. Le Pater è la prima opera filosofica dell’artista nella quale si possono scorgere suggestioni provenienti da culture e religioni diverse (cristiana, ebraica, islamica, egiziana, massonica). L’avvicinamento al misticismo e allo spiritualismo maturò grazie all’amicizia con alcuni dei massimi esponenti delle correnti spirituali di fine Ottocento come lo svedese Strindberg e il francese Albert de Rochas. Nello stesso periodo, però, andò maturando un altro interesse quello per la massoneria, della quale entrò a far parte dal 1898. Con essa condivideva l’obiettivo del progresso dell’umanità.

L’Epopea slava è espressione di un augurio rivolto alle generazioni future che avrebbero dovuto cooperare e spendersi per il mantenimento della pace da poco ottenuta dopo i trattati di Versailles, un dovere morale a cui anche l’unità dei popoli slavi avrebbe dovuto contribuire. L’arte era così divenuta uno strumento per la diffusione di idee filosofiche utili a tenere lontana la guerra e ad aumentare il senso di fratellanza tra i popoli. Su questi temi Mucha vi ritornò nel 1933, nei cupi giorni dell’ascesa al potere di Hitler. Era necessario richiamare i popoli alla speranza della luce per evitare un suo definitivo spegnimento a discapito dei nuovi venti di guerra. È in questo clima che prende vita l’ultimo monumentale lavoro dell’artista ceco, il trittico L’età della ragione, L’età della saggezza, L’età dell’amore dove Ragione, Saggezza e Amore sarebbero dovuti essere i tre mezzi attraverso cui l’umanità avrebbe potuto tenere lontana la guerra e continuare il suo cammino verso il progresso. Mucha non riuscì a portare a termine questo capolavoro e le speranze dell’artista si frantumarono quando il 15 marzo del 1939 le truppe tedesche marciarono su Praga e Hitler proclamò Boemia e Moravia protettorati del Reich. L’indipendenza della Cecoslovacchia era già finita, Mucha fu tra i primi arrestati della Gestapo e quattro mesi più tardi da quella terribile invasione si spense, lasciando incompiuta la sua missione, ma rendendo eredi perenni i suoi posteri, ai quali ancora parla attraverso “la luce della speranza” e i suoi “moniti ardenti”.