Roberta Giannì
Eros che scioglie le membra mi scuote nuovamente:
dolceamara invincibile belva
È così che Saffo, nota antica poetessa greca, descrive l’influenza che Eros esercita sull’uomo mortale. L’amore ed il desiderio fisico sono insiti in noi, ci appagano e allo stesso tempo ci torturano quando impossibili da soddisfare. Una belva invincibile perché non in grado di essere domata.
Eros nella mitologia greca era il dio dell’amore fisico e del desiderio. Figlio degli dèi Afrodite e Ares, veniva considerato da Esiodo come il quarto dio creato dopo il Caos, Gaia (la Terra) e il Tartaro (gli inferi). I misteri orfici lo descrivevano come il figlio della Notte mentre Aristofane lo descrive in tal modo:
All’inizio c’erano solo Chaos, Notte (Nyx), Oscurità (Erebus) e Abisso (Tartarus). La Terra, l’Aria e il Cielo non avevano esistenza. In primo luogo la Notte oscura posò un uovo senza germe nel seno delle profondità infinite delle Tenebre, e da questo, dopo la rivoluzione dei lunghi secoli, scaturì il grazioso Amore (Eros) con le sue scintillanti ali dorate, rapide come i turbini della tempesta. Si accoppiò nel profondo Abisso con il caos oscuro, alato come lui, e così nacque la nostra razza, che fu la prima a vedere la luce.
Il dio fu immaginato nelle fattezze di un giovinetto armato di arco e faretra, colma delle frecce che scagliava sugli esseri umani che nel momento esatto in cui venivano colpiti provavano un’ardente passione amorosa. I poeti gli accostarono anche dei compagni di giochi, gli Amorini e gli Eroti, spesso visibili nelle forme di piccoli fanciulli alati.
È con Omero che Eros diviene un concetto, non più solo una persona: un concetto basato sulla visione di Eros come irrefrenabile desiderio, simile a quello che Paride provò nei confronti di Elena: un desiderio talmente ardente da provocare una guerra, quella tra Troiani e Greci, sul cui campo di battaglia perirono molti valorosi uomini, tra cui lo stesso Paride. Elena era una donna di inestimabile bellezza, bellezza in cui Paride si imbatté nel corso di una sua visita alla città di Troia. Eros aveva inondato i loro cuori di ardente desiderio, un fuoco che tuttavia era destinato a spegnersi in Elena, la quale, dopo aver provocato la morte di tanti uomini e dello stesso Paride, ritornò dal suo sposo Menelao il quale la risparmiò dalla morte per infedeltà perché nuovamente folgorato dalla sua bellezza.
Tra le numerose vittime di Eros nella storia, anche Antonio e Cleopatra: la regina d’Egitto era descritta difatti allo stesso modo di Elena, vantava una bellezza rara. Prima di Antonio, già Cesare era caduto vittima della sua grazia e con lei aveva avuto dei figli. Quando Antonio la conobbe, Eros si impossessò completamente di lui: passava molto tempo con la regina, ne era totalmente ammaliato e a Roma iniziava a diffondersi l’opinione comune che l’uomo fosse caduto vittima del potere di Cleopatra, che non fosse più adatto ai compiti militari e che volesse tradire Roma. Così, nuovamente Eros provocò una guerra, conclusa con la famosa battaglia di Azio, che provocò il coraggioso suicidio di Cleopatra prima e la morte di Antonio poi. Cleopatra era una donna che sapeva come trattare un uomo, specialmente un uomo con cui aveva trattative politiche: infatti, secondo alcune teorie, più che con la bellezza colpiva un uomo attraverso il suo eros. Quando Antonio la incontrò per la prima volta, probabilmente lei si mostrò circondata da incensi, oro e danzatrici, avvolta in un sottile velo che molto lasciava intendere.
Ma Eros non era in grado di domare solo gli uomini; poteva confondere anche i suoi simili, gli altri dèi, come Zeus. Il capo degli dèi si presenta, nella maggior parte delle leggende e dei miti, sposato con la dea Era, la dea protettrice del matrimonio e dei figli, l’antitesi di Zeus stesso, il quale vantava il possesso di numerosi figli avuti da rapporti extra-coniugali, che consumava persino sotto forme animalesche di toro, cigno e altre bestie. Fu per violentare Europa che Zeus decise di tramutarsi in un toro. Si innamorò di lei mentre la fanciulla era intenta a raccogliere fiori sulle coste della Fenicia; tramutatosi in un toro bianco, la raggiunse e vi si stese accanto. Quando ella lo cavalcò, Zeus la condusse fino a Creta e dopo vari tentativi di violentarla riuscì a sopraffarla tramutandosi in aquila. Tra le sue numerose amanti vi erano donne mortali come Europa, Io, Semele, dee come Dione e Maia e persino ninfe. I miti parlano infatti di Era come una donna eternamente gelosa , orgogliosa nemica delle amanti del marito e dei suoi figli.
Le ninfe sono anch’esse simbolo dell’eros. Erano venerate dai Greci ed esse erano benigne verso i mortali ai quali spesso si concedevano, preferendo in primo luogo adolescenti ed eroi. Le ninfe vantavano un vero e proprio culto da parte dei Greci che le veneravano nei boschetti, lungo le sponde dei fiumi, nelle grotte dei monti, sulle rive dei laghi, in posti a cielo scoperto ma anche in santuari denominati Ninfei, in cui si offrivano loro capre, agnelli, latte, vino e olio.
Il concetto di eros nelle società antiche è noto anche grazie agli studi dei testi che sino ad oggi lo hanno tramandato. Il Museo Egizio di Torino ad esempio conserva il cosiddetto “papiro erotico di Torino”, risalente al XII secolo a.C. Il testo, suddiviso in varie parti, racconta il rapporto amoroso esistente tra un contadino barbuto ed una cortigiana e insieme ad una numerosa quantità di particolari è aggiunto un forte senso dell’ humor. Nel papiro lei si presenta completamente svestita, con una parrucca ed un fiore di loto tra i capelli; lui è calvo, di età avanzata. Le immagini rappresentate fanno ipotizzare che per gli antichi egizi i rapporti amorosi non erano un vero e proprio tabù.
Per la tradizione classica invece si ricordano le “etére”, oggi comunemente conosciute come cortigiane o prostitute, erano considerate per il semplice piacere sessuale, al contrario delle mogli che avevano il solo compito di generare figli e custodire fedelmente la casa. Le etére erano generalmente preferite da politici e uomini di potere e si distinguevano per il fatto di avere avuto un’educazione e di possedere dunque conoscenza della musica, della danza e dell’arte. Si distinguevano dalle pornai che invece era facile trovare per strada o nei bordelli e che vendevano il loro corpo esclusivamente per denaro. Erano di fatto una categoria femminile indipendente, che esercitava una notevole influenza sui personaggi pubblici del tempo.
Per i romani il concetto di eros non era tanto differente; l’eros per la società romana era importante, doveva essere venerato al meglio e soprattutto, se ben onorato, dava in cambio figli sani. Numerose sono le stanze dei lupanari riportate alla luce dagli archeologi, le stanze del piacere mercenario, con le pareti ricolme di scritte che i visitatori o le stesse donne al suo interno incidevano, a ricordo di un particolare appuntamento o addirittura per vantarsi di essere un assiduo frequentatore del posto. I romani non godevano di un’esistenza longeva, la vita media per gli uomini era di 41 anni, per le donne 29 anni; le morti premature erano numerosissime, per il parto o per malattie che non potevano essere curate per l’assenza della medicina moderna. Dunque preferivano vivere appieno il tempo che era dato loro a disposizione, amavano la vita in tutte le sue sfaccettature, eros compreso.
L’eros è ancora molto presente nella società odierna. Nonostante la dimensione del tabù in cui è stato relegato, è sempre presente, sussurrato sottovoce, nasce con uno sguardo. È la belva invincibile assopita dentro di noi che ad un tratto si risveglia e ruggisce.