di Annalucia Cudazzo
In Clinamen-periodico di cultura umanistica – n. 6, pagg. 27-30, 21-03-2019.
“Non voglio impazzire per la porpora d’amore
ma bruciare col vento in cielo
e impazzire come vento in cielo.”
21 marzo: Giornata mondiale della Poesia
Omaggio alla memoria della poetessa Nadia Campana,
divenuta “come vento in cielo” a soli trentuno anni.
di questo succo momenti di pura pace due corpi nudi che
camminano guardandosi vorrei dire che senza arabeschi
è possibile appartenere qualche volta. fuori dai cinque
sensi dentro un senso che liberi tutti scrutare dall’al-
to del sinai: il sinai. anche voglio che rimanga in me
un’isola dinamica come un sogno esatto. bella sei amica
mia come un meriggio che pascola tra gli anemoni. il tuo
petto gregge notturno e candido. grandi cose il cuore ne
dice e paiono dire (ché nessun suono fuori riesco) quale
prova voglio vedere s’incurva al largo l’una vicino al-
l’altra al ritmo fai il viaggio nelle mie mani regione
di entrambi in te si realizza tutto il tempo in un istan-
te proprio grazie alla natura, a quella natura finita
(N. CAMPANA, Verso la mente, a cura di M. De Angelis, E. Rabuffetti, G. Turci, Rimini, Raffaelli, 2016, p. 55.)
Il testo, privo di titolo, fa parte della raccolta postuma Verso la mente, edita per la prima volta nel 1990 dalla casa editrice Crocetti e basata su un dattiloscritto in cui la poetessa Nadia Campana (Cesena, 1954 – Milano, 1985) aveva riunito i suoi versi poco prima di attuare la difficile decisione di togliersi la vita, lanciandosi dalla tangenziale est di Milano, all’altezza di via Corelli. Il volume, che consta di una cinquantina di componimenti, è stato nuovamente pubblicato nel 2014 dall’editore Raffaelli e si articola in due sezioni: la prima è Verso la mente, che dà il titolo alla raccolta, la seconda è Orario che si apre con questo componimento.
Il testo è composto da tredici versi dalla particolare disposizione grafica che sembra emulare la “forma cubo” teorizzata da Amelia Rosselli nel 1962 in Spazi metrici, versi scritti come se fossero prosa, giustificati ai margini della pagina, in cui ogni rigo corrisponde a un verso. La Campana, poco rispettosa della sintassi e delle regole grammaticali, fa iniziare il testo senza usare la lettera maiuscola (“di”), focalizzando sin da subito l’attenzione del lettore sugli elementi principali della scena, calata in un clima spazio-temporale di grande armonia e beatitudine: “due corpi nudi”, due amanti in movimento, i cui occhi non smettono di cercarsi. A questo punto, al v. 2, senza nessuna punteggiatura che indichi un cambiamento della scena, si intromette l’io lirico che parla in prima persona, con un discorso indiretto, per affermare, senza giri di parole (senza “arabeschi”, cioè gli stili decorativi composti da elementi calligrafici), che, a volte, è possibile che due corpi ˗ ma soprattutto due anime innamorate ˗ possano essere così profondamente legate da sentirsi quasi parte l’un dell’altro, addirittura come se fossero un unico essere. Chi è così fortunato da provare tale sentimento può avere la sensazione di sconfinare dalla sua limitata dimensione carnale, andare oltre alla fisicità corporea per arrivare a un congiungimento di ogni frammentarietà della vita umana, a un’armonia cosmica, a un’unità metafisica perfetta e raramente raggiungibile, capace di potenziare al massimo i “cinque / sensi”: l’incontro con l’altro simboleggia una fusione, una ritrovata integrità.
Ancora una volta, si cambia scena senza che il passaggio sia segnalato e si trova un verbo al modo infinito, come spesso accade nella poesia di Nadia Campana, la quale opta per tale soluzione al fine di rendere eterno ciò che scrive, creando un contesto fortemente sfumato, quasi fuori dal tempo: “scrutare”. È come se fosse una necessità quella di salire in un punto alto da cui poter osservare tutto: si tratta del monte Sinai (la parola “sinai” è ripetuta due volte consecutive, quasi a focalizzare l’attenzione su questo elemento), sul quale la poetessa può meditare e abbandonarsi alle sue riflessioni più profonde. Numerosi sono i riferimenti biblici presenti nella poesia della Campana e, in questo caso, grande influsso ha esercitato il libro dell’Esodo, in cui si racconta che, presso il Sinai, un angelo apparve a Mosè in un roveto ardente, incaricandolo di condurre fuori dall’Egitto gli israeliti ed è proprio sul monte che Mosè ricevette poi il decalogo; sempre in questo libro veterotestamentario si narra che i settanta anziani israeliti ebbero una visione della gloria di Dio sul Sinai, luogo che viene preso ad esempio dalla poetessa come posto privilegiato dove stabilire un contatto con il divino. La poetessa desidera anche che le sensazioni provate permeino in lei e rimangano nei suoi ricordi come qualcosa di unico ma che spera si possa ripetere, che resti un’immagine indelebile come un sogno cui non si può fare a meno di pensare.
Il testo è esemplare per comprendere l’importanza rivestita dalle Sacre Scritture per la Campana, infatti, verso la fine del verso 6, fino a metà del verso 8, vi è un richiamo esplicito al Cantico dei Cantici: “bella sei amica / mia come un meriggio che pascola tra gli anemoni. il tuo / petto gregge notturno e candido”, parole che ricordano i continui elogi che si scambiano, nella Scrittura, la Sulamita e il pastore di cui è innamorata (si veda in modo particolare i primi versetti del quarto capitolo in cui si legge: “come sei bella, amica mia”, “i tuoi capelli sono come un gregge di capre”; “le tue mammelle sono come gemelli di gazzelle”). Si noti che la donna è paragonata al tempo pomeridiano trascorso in un campo di anemoni e che la frase “il tuo / petto gregge notturno e candido”, che si conclude con un punto, ha un soggetto, ma è priva di predicato verbale.
Dopo un punto, si descrive ancora l’ardore del sentimento amoroso, ineffabile, ma che vorrebbe essere espresso con “grandi cose” che sembrano manifestare ciò che la poetessa desidera vedere, per capire come è possibile questa grande sintesi affettiva che sta avvenendo fra i due corpi, per cercare quell’unico senso al di là dei cinque sensi; ma queste “grandi cose” sembrano soltanto, non sono sicure perché l’io lirico non riesce a dire nulla, non può fuoriuscire “nessun suono” (si noti che la Campana scrive “fuori riesco”, scomponendo il verso “fuoriuscire” in un avverbio e nel verbo “riuscire”, che indica ancor di più l’incapacità di trovare quella “prova” di cui scrive poco più avanti).
La conoscenza dell’altro permette anche la conoscenza del proprio io ed entrambe sono possibili grazie all’incontro dei corpi: l’atto carnale d’amore è come un “viaggio”, l’amplesso è un’esplorazione fisica della persona amata che permette di andare oltre la dimensione meramente fisica, di uscire da se stessi e sconfinare nell’altro. L’amore dona beatitudine, è l’unica soluzione alla frammentarietà della realtà e della vita quotidiana, è l’unico vincitore sul tempo che rappresenta una vera e propria ossessione per Nadia Campana sin dal primo componimento della raccolta in cui viene definito come il suo “agonizzare”, uno spauracchio che scandisce i momenti dell’esistenza, che scorre incontrollato, che ciclicamente modifica la natura, ricordandoci sempre che anche noi esseri umani siamo a esso subordinati.
“In te si realizza tutto il tempo in un istan- / te” si legge, infatti, verso la fine del componimento, in cui la parola “istante” viene divisa su due versi, per sottolineare l’importanza del “tu”, della persona amata, creando anche la ripetizione del pronome: nel momento dell’unione dei corpi, al tempo si dà finalmente un senso; tutto sembra trovare compimento nell’amore, l’innamorato è il fulcro dell’unione e dell’appiattimento di ogni dimensione temporale. Non c’è passato, non c’è futuro, non c’è presente durante l’amplesso: è la conquista dell’uomo, condannato a convivere coi suoi limiti, che, però, può riscattarsi e trovare l’infinito nella paradossale finitudine della sua natura.