di Alfonso Martino
Dopo lo strepitoso successo di Favolacce, i fratelli D’Innocenzo tornano a parlare del lato oscuro dell’uomo in America Latina, in cui i due registi e sceneggiatori mettono nuovamente al centro della loro storia Elio Germano. L’attore romano interpreta Massimo, dentista di Latina dal forte codice morale e con una famiglia perfetta alle spalle, che da un momento all’altro affronterà in cantina un evento più grande di lui e che porterà a un cambiamento radicale nella sua vita.
Rispetto a Favolacce, Massimo è una figura rispettabile e senza macchia, priva del machismo e dell’insoddisfazione che contraddistingueva invece Bruno. Entrambe le pellicole e i personaggi di Germano condividono però un aspetto in comune: il male come motore principale della vicenda, con la differenza che nel precedente film dei D’Innocenzo è riconosciuto dai bambini e nascosto dagli adulti, mentre in America Latina gli adulti sono decisamente consapevoli delle loro azioni.
Dal punto di vista tecnico, i registi mantengono per quasi tutti i 90 minuti della pellicola dei primi piani sui personaggi in scena, alimentando quel senso di claustrofobia che prende pian piano Massimo e trasmettendolo anche allo spettatore, grazie a un utilizzo del sonoro efficace, tendente al minimale e che dà la giusta importanza allo stato d’animo del protagonista, come accade nella sequenza del pianoforte durante il compleanno della figlia minore, in cui il respiro di Massimo diventa sempre più forte.
Latina non partecipa in maniera attiva ai fini della trama, ma resta sullo sfondo, relegata a spazi aperti e all’enorme casa del protagonista, che colpisce per la particolarità della sua struttura. La cantina è sfruttata dai D’Innocenzo per mostrare la vera natura di Massimo, con l’acqua che sale di livello a dimostrazione della facciata del dentista sempre più vicina a cedere.
Tra le sequenze più interessanti va sicuramente menzionata quella del dialogo tra Massimo e suo padre, interpretato da Massimo Wertmuller, in cui i due vengono ripresi in maniera sfocata, specialmente la figura del padre, che con poche battute trasmette allo spettatore il disprezzo per suo figlio e i dubbi nei confronti del dentista.
Nel finale il film raggiunge il suo climax, in un epilogo che lascia stupito il pubblico, ponendogli degli interrogativi su una storia che scava nell’animo umano e che mette i D’Innocenzo nella cerchia dei registi italiani capaci di sperimentare e di mettersi in gioco, ricordando in alcuni tratti pellicole come Dogtooth o Il Sacrificio del Cervo Sacro di Lanthimos.