Approdi

Dal diario di viaggio di un archeologo

di Roberta Giannì

Viaggiare significa imparare qualcosa di nuovo del mondo, conoscere tradizioni e costumi da confrontare con il proprio essere. Nei secoli XIX/XX viaggiare voleva dire soprattutto scoprire: scoprire i resti di antiche città o tesori racchiusi per millenni in camere celate alla vista. In quegli anni, infatti, furono tantissimi coloro che organizzarono le prime vere spedizioni archeologiche, con destinazioni quali l’Egitto e la Mesopotamia, l’odierna Turchia o l’isola di Creta. La nascita dell’archeologia dunque si deve proprio al viaggio, compiuto nelle terre di cui si leggeva negli antichi testi e che mai, fino a quel momento, avevano avuto un riscontro materiale, con ritrovamenti che potessero accertare che i fatti di cui si leggeva fossero reali.

Esempio lampante in questo caso fu Heinrich Schliemann. Imprenditore tedesco, viene oggi considerato uno dei primi archeologi della storia, uno dei primi ad organizzare una spedizione archeologica che gli permise di entrare nella storia grazie alla scoperta, a seguito di anni di studi, dei resti della città di Troia, la Troia dell’Iliade di Omero.

Nel 1868 decise di ritirarsi dagli affari e di dedicarsi a viaggi e ricerche nell’ambito archeologico. Con in mano il testo dell’Iliade, partì dunque per l’Anatolia, deciso ad eliminare la convinzione generale che il popolo troiano e la città stessa appartenessero esclusivamente ad una tradizione di racconti orali.

Il 6 Agosto, all’una di notte, partii dal Pireo alla volta dei Dardanelli sul Nil, un vapore delle Messageries impériales”.

“14 Agosto 1868:  Verso le dieci del mattino arrivammo a un terreno elevato, molto esteso, coperto di cocci e di frammenti di blocchi di marmo lavorati […]. Mi recai alla città di Jeni Schehr sul promontorio del Sigeo […]. Di là si gode di un’ottima vista di tutta la piana di Troia. Quando mi trovai sul tetto di una casa, con l’Iliade in mano, e osservai il panorama, mi pareva di vedere sotto di me la flotta, il campo e le assemblee dei Greci, Troia e la rocca di Pergamo sull’altura di Hissarlik, le marce e le contromarce e le battaglie delle truppe nella pianura fra la città e il campo. Per due ore feci sfilare davanti ai miei occhi i fatti principali dell’Iliade, finché l’oscurità e una gran fame mi costrinsero a scendere”

Così scriveva nel suo diario personale, affidando all’inchiostro e alle bianche pagine il compito di ricordare tutto ciò che riuscivano a scorgere i suoi occhi.

A seguito di scavi clandestini che suscitarono l’ira del governo turco, ottenne solo nel 1871 il permesso di effettuare ricerche in quei territori, concentrandosi sulla collina di Hissarlik, la quale costituiva una posizione valida per una roccaforte in quanto da li era possibile dominare tutta la valle sottostante. Nell’agosto dell’anno successivo rinvenne ceramica, armi, e le fondamenta di edifici disposti su livelli differenti. In uno di questi, Schliemann rinvenne un cospicuo numero di oggetti in oro, che attribuì al tesoro di Priamo, re di Troia al momento della caduta della città in guerra contro i Greci.

17 Giugno 1873. Dietro a questo muro, a otto-nove metri di profondità, ho portato alla luce la cinta troiana che prosegue oltre la Porta Scea, e scavando ancora sullo stesso muro, nei pressi immediati della casa di Priamo, mi sono imbattuto in un grosso oggetto di rame […] che ha attirato tanto più la mia attenzione in quanto mi pareva di scorgere oro dietro di esso […]. Per sottrarre il tesoro all’avidità degli operai […] feci subito ordinare il paidos (una parola di origine incerta, passata in turco, che qui si usa per il riposo), e mentre gli operai mangiavano e si riposavano estrassi il tesoro con un grosso coltello.

Così come Schliemann, anche Howard Carter si rese protagonista di una delle più grandi scoperte della storia. Il barone William Amhurst Tyssen-Amherst era considerato, negli ultimi anni dell’Ottocento, uno dei più grandi collezionisti di antichità egizie d’Inghilterra; dopo aver conosciuto Carter grazie al padre di quest’ultimo, lo presentò all’archeologo Percy Newberry, grazie al quale Carter riuscì a prendere parte ad una spedizione archeologica in Egitto come disegnatore, con il compito di riprodurre in acquerello pitture tombali e reperti. Negli anni apprese dall’archeologo le metodologie di scavo archeologico, partecipando a molte indagini importanti dell’epoca. Il sogno di scavare la Valle dei Re divenne realtà nel 1917. Il 3 novembre vennero rinvenuti nella sabbia dei gradini che conducevano ad una porta chiusa. Carter non aveva dubbi sul fatto di avere davanti qualcosa che per secoli era rimasto inviolato. Il 26 dello stesso mese praticò un foro servendosi di uno scalpello, per una prima ispezione dell’interno. Quello che vide lo fece ammutolire. Gli venne chiesto se riuscisse ad intravedere qualcosa.

“Sì! Cose Meravigliose!”

Il giorno seguente la porta venne finalmente aperta rivelando il tesoro rimasto nascosto agli occhi di tutti. Dietro la porta si celava difatti una camera sepolcrale, contenente una moltitudine di oggetti ed un sarcofago. La sua apertura rese ufficiale il ritrovamento, da parte di Howard Carter, della camera sepolcrale del faraone Tutankhamon.