a cura di Ruben Alfieri
Camila González ha 21 anni ed è Argentina. Vive tra La Falda e Córdoba, provincia e capoluogo. La prima è circondata da montagne e quasi totalmente immersa nella natura, la sua principale fonte d’ispirazione. Tuttavia, La Falda è una città molto piccola e non le permette di avere il pubblico che invece incontra nel capoluogo. A Córdoba ha infatti l’occasione di relazionarsi con altri artisti ed esporsi assieme al gruppo della rivista “La otra cara Gϋemes” (ossia, L’altra faccia di Gϋemes, il quartiere in cui nasce la rivista). “Ogni mese” mi spiega, “organizziamo mostre in luoghi pubblici, come nel centro culturale Paseo de las artes e El Cabildo, accompagnati da bande musicali, scrittori e poeti; non manchiamo, inoltre, di supportare la nascita di nuove riviste tramite eventi speciali.”
Perché la scelta di disegnare questi soggetti e qual è il motivo dello stile?
Inizialmente quel che motivava di più la mia opera era un concetto, ovvero il consumo della carne, il capitalismo, il maltrattamento degli animali, rappresentato con animali privi delle estremità, mosche causate dalla putrefazione della carne, loghi di fast-food, forchette, coltelli, etc. Col passare del tempo, però, il modo di affrontare la questione si è come ribaltato, e la mia opera cominciò a trattare di piccoli esseri amanti e protettori della natura. Qualcuno di questi, chiamati “efímeras” (effimere), si occupano di accompagnare gli animali e le piante in un luogo migliore quando la loro vita terrena finisce; altri amano i fiori, perché si dice che grazie ai fiori possano sperimentare nuove sensazioni: olfattive, tattili, visive e di gusto. Per questo si divertono a cercarli e sperimentare nuove forme di amore.
Questi esseri li hai quindi inventati o fanno parte di qualche mito?
Il tema affrontato è quindi l’effimero. Questi esseri di cui ti ho parlato nella realtà esistono sotto forma di piccoli insetti che passano tutta la vita in acqua, in forma larvale, e nel momento in cui sviluppano le ali danzano sul telo dell’acqua per riprodursi e subito morire. Per questo spiego che la mia opera si basa su questi insetti, e che il tema si ribalta dalla critica all’apprezzamento e l’amore per la fugacità che rappresenta la natura.
Focalizzarsi su quest’aspetto fa sì che esso si sviluppi in una concezione della vita? Come se questi esseri fossero rappresentanti di qualcosa di più vasto?
Esatto, sono come un’idealizzazione, o un esempio di vita che molti, inclusa me, dovremmo seguire: il fatto di apprezzare il presente e non fissarsi troppo sul passato o sul futuro; senonché bisognerebbe approfittare del momento e viverlo pienamente e realmente in ciò che accade. Quindi, concentrarsi sulle sensazioni e apprezzare le piccolezze. Ascoltare, ad esempio, il suono del vento tra gli alberi, una foglia che si posa sull’acqua, gli uccelli che volano verso i propri nidi comunicandoci l’avvicinarsi di una tempesta; colori e forme possibili nel cielo, l’insetto che mi ha sfiorato il braccio e tanti altre piccole sensazioni che sono ciò che generano realmente l’amore per la vita. Le Effimere sono l’esempio che cerco sempre di seguire.
Cosa mi dici riguardo al colore? È solo un gusto personale oppure ha a che fare con la tecnica, o ha magari un significato?
La verità è che tuttora non riesco a trovare un significato al colore senza pensare al magico e al fantastico. Mi lascio semplicemente ispirare.
Pensi che vivere in Argentina influisca sui temi del tuo lavoro?
Sono nata a Buenos Aires, in piena città, dove non potevo godermi lo spazio aperto, perché pericolosa, e non sapevo cos’era la natura se non per l’idea triste che potevo avere dai libri e dalla televisione. A sei anni mi sono spostata a La Falda, e questo per me fu un cambiamento forte e meraviglioso. Finalmente potei innamorarmi e lasciarmi affascinare dalla natura. Nel particolare, è stato questo contrasto a influenzarmi, più che il complesso argentino.
Questa è una mia curiosità. La tecnica del tuo disegno si ispira un po’ a quella del graffito?
Sì, c’è stato un periodo nel quale ero molto interessata al graffito e all’idea di portare l’arte in strada. Li realizzavo quando il tema centrale del mio lavoro era il consumo della carne, quindi erano tutti graffiti di animali tagliati coi coltelli o assaliti dalle mosche. Il mio primo progetto fu intervenire contro il macello usando la tecnica stencil, con la sigla “anche noi vogliamo vivere”, che venivano poi rimossi il giorno seguente. Attualmente non realizzo più graffiti poiché mi focalizzo sull’illustrazione. Però esporre l’arte in strada è ciò che secondo me è più importante per la cultura locale. Quindi non rimane totalmente da parte. Sicuramente tornerò a disegnare sui muri più in là, anche se il mio modo di “uscire in strada” al momento è attaccare stickers dei miei disegni su pali e cartelli.
È comune esprimere le proprie idee attraverso il graffito in Argentina? È difficile pensare all’ America Latina senza pensare ai murales.
Il graffito nasce a New York in forma di protesta. Dopo, però, questo concetto di graffito si è espanso in America Latina. Oggigiorno ci sono molti murales personali. Ovvero, l’artista vuole esporsi e lo realizza. Non è necessario che conti qualcosa a livello sociale, o assuma una forma di protesta. È semplicemente qualcosa che ha a che fare con l’arte e la libera espressione.
In che modo pensi che il pubblico si relazioni al tuo lavoro?
Ci sono diversi tipi di pubblico. Ho incontrato diversi curatori ai quali il mio lavoro è piaciuto molto e altri che pensano che l’arte debba ancora seguire il concetto del “bello”. Da parte mia, voglio mostrare qualcosa che possa suscitare curiosità, soprattutto perché i miei personaggi sono neutri e senza espressioni. Questo potrebbe suscitare alcuni dubbi riguardo la mia opera, ma al di là del suo concetto, mi piace che lo spettatore possa interpretarlo liberamente.
Ultima domanda. Ti definiresti underground? Pensi inoltre che sia possibile al giorno d’oggi essere underground? Soprattutto perché la gente sembra molto aperta ad accogliere visioni differenti, ed è difficile trovare qualcosa di più ristretto, per la facilità della comunicazione.
Penso che le nuove generazioni abbiano una mente molto aperta e che siano disposte a rispettare e dare un valore alla diversità, quindi, in questo caso ci sarebbero un sacco di persone inserite nella “controcultura”; però, a parte questo, mi considero un’artista emergente che vuole mostrare arte, comunicare un punto di vista e la libera espressione, in una società che è sempre più aperta a questo mondo, tanto per la musica che nel visivo.