di Alessia S. Lorenzi
Parlare del “sogno” nella Divina Commedia sembra un po’ scontato perché tutta l’opera è di fatto frutto di un sogno. Come sappiamo Dante nel “mezzo” della sua vita inizia il viaggio di pellegrino. Viaggio che comincia all’alba, ma non nell’alba di un giorno qualsiasi, ma del Venerdì Santo, data incerta, ma sicuramente molto significativa. Comincia così il suo cammino all’interno delle tre cantiche: il poeta cade in un sonno profondo che si trasforma in sogno, il sogno del malato penitente che varca la soglia degli inferi con le ansie, le attese e le incertezze per un cammino che già si prevede lungo, faticoso e pieno di ostacoli. E lo fa per salvare la propria anima, aiutato dapprima da Virgilio, che rappresenta la ragione, che lo guida attraverso l’Inferno e il Purgatorio, successivamente, nel Paradiso, lo guida Beatrice, simbolo della fede. La parola sogno la troviamo molto spesso nella Divina Commedia, ma a volte Dante gli attribuisce il significato comune della parola, il sogno cioè che si ha quando si dorme, molte altre volte, invece, la parola sogno è utilizzata in senso metaforico. La troviamo come avvertimento contro una verità falsa, che può manifestarsi attraverso un sogno. Ed è proprio questa realtà falsata che è in grado di portare l’uomo verso il peccato, ingannandolo. Ma Dante non è nuovo all’utilizzo di sogni all’interno di un’opera, ne sono la prova i tanti sogni della Vita Nova, che sono parte sostanziale e decisiva della narrazione poetica e del suo senso allegorico e parabolico. Tornando alla Divina Commedia, i più famosi esempi sono, senza ombra di dubbio, i tre sogni profetici che Dante fa sul monte del Purgatorio prima dell’alba, e che dimostrano il volto positivo e divinatorio del sogno. Nei tre sogni Dante sembra voler riassumere le ragioni che lo hanno indotto a intraprendere il suo viaggio.