Oltre il confine

La legge del desiderio. Radici bibliche della psicoanalisi, di Massimo Recalcati

Alessandra PELUSO

«Grazie all’esperienza della morte la fusione, la solidarietà tra la vita e i contenuti della vita è stata dissolta. Ma è proprio nei contenuti di un valore atemporale che la vita temporale raggiunge i suoi vertici più alti», con queste parole, che Simmel matura nel corso della sua esistenza che lo conducono nella Lebensanshauung (1918),apro lo scenario esistenziale del significato cristiano della vita e della morte per addentrarci nel volume La legge del desiderio. Radici bibliche della psicoanalisi di Massimo Recalcati, (Einaudi, Euro 22,00, pp. 453).

“La legge del desiderio. Radici bibliche della psicoanalisi”
Massimo Recalcati
Einaudi, 2024
pp. 482
euro 22
https://www.einaudi.it/catalogo-libri/psicologia/psicoanalisi/la-legge-del-desiderio-massimo-recalcati-9788806254766/

Un grazie è doveroso all’Autore per averci consegnato una chiave di lettura autentica relativa all’insegnamento cristiano, perfino rivoluzionaria. Costui innanzitutto ha posto in rilievo le sferzanti accuse contro la religione come antidoto al vivere, all’idolatria dell’Io, come “sacralizzazione della cultura” (U. Galimberti, Le parole di Gesù). Sono evidenziati i rimproveri ai farisei e agli scribi che dice: «assomigliate a tombe imbiancate, che all’esterno appaiono splendide, ma all’interno sono colme di ossa morte e di ogni impurità» (Vangelo di Matteo). Ci si deve liberare – specifica Recalcati – dal peso del peccato e soffermarsi a riflettere sul significato della “croce”: «essere sottomessi alla Legge», – osserva – «significa pensare ingenuamente e moralisticamente che il rispetto della Legge coincida con l’assenza di infrazioni della Legge. Ma la morte di Gesù fu voluta proprio per emancipare la Legge da questa visione riduttiva della Legge», (p. 136); ovvero,

«Gesù non muore sulla croce perché sa di essere salvato, ma si salva perché decide di morire sulla croce, perché resta fedele alla Legge del proprio desiderio» (p. 139). Ed eccoci al tema che è il leitmotiv del saggio: il desiderio e con un certo stupore è anche la lezione di Gesù Cristo.

Leggendo e rileggendo il testo sorprende il messaggio rivoluzionario cristiano, l’importanza delle parole, la legge del desiderio: dire sì ogni giorno alla vita, (Nietzsche), abbattere l’idolatria della religione, che può condurre a schiavitù e risentimento. Il Maestro non fonda infatti una religione, ma una “fede” (fiducia) che ciascuno dovrebbe riporre in lui e nelle sue parole.

Nel saggio La legge del desiderio attraverso le parabole come la guarigione di Lazzaro, il figliol prodigo, il sacrificio di Isacco, i tradimenti di Giuda e Pietro, sono spiegate con acume e nitidezza le questioni fondamentali che caratterizzano l’esistenza dell’uomo e hanno tracciato anche quella di Gesù Cristo: vita, morte, amore, solitudine, abbandono. Costui insegna ad affrontare tutto ciò con La legge del desiderio e La legge della parola, divenuti i titoli delle due magistrali opere di Recalcati.Con la parola e non con il pregiudizio, con il desiderio e non con la paura, con l’amore e non con l’interesse, con l’audacia di chi vuol attribuire valore al proprio vivere: «si ama il prossimo come si ama l’esodo che si è compiuto dall’essere meramente per sé. Si ama il prossimo come amiamo in noi stessi l’essere prossimi a noi. Sempre infinitamente prossimi, ma mai in nostro possesso» (M. Cacciari).

Tuttavia, se l’amicizia e l’amore sono legami che suppongono la presenza separata di due soggetti, in quello familiare non sempre accade e a dimostrarlo è la lezione biblica di Giuseppe, Maria, Gesù. In particolare, Maria offre una grande lezione all’umanità: attende, accoglie. Resta in silenzio e rispetta la libertà dl figlio che deve separarsi e vivere con desiderio la sua vita.

E questo atto è significativo di libertà, la non paura conduce all’apertura all’altro, all’accoglienza dell’altro, al non sottrarsi al destino. Si evince che «l’alterità irriducibile del figlio ribadisce che la paternità – come la maternità – non è mai un’esperienza di appropriazione ma di decentramento» (p. 234).

Ogni capitolo del saggio è tagliente quando deve attrarre l’attenzione del lettore, ad esempio, con la narrazione degli episodi di Cristo; gioioso invece, quando deve sollecitare al desiderio, alla parola che, oltre a comunicare, esprime l’essere (Heidegger), fino poi a ritrovarsi nel settimo capitolo con un tema farraginoso che contraddistingue l’individuo: il tradimento, anzi, i Tradimenti. A tal proposito, Recalcati riporta le figure di Pietro e Giuda centrali per comprendere il significato del tradimento e successivamente dell’abbandono attraverso la relazione maestro e allievo. Il trauma. Gesù rappresenta il maestro che simboleggia amore e odio, desiderio e risentimento. E il desiderio – scrive Lacan – è una forza eccentrica e sovvertitrice capace di generare «un disordine permanente all’interno di un corpo sottomesso allo statuto dell’adattamento». Gesù, Socrate, Nietzsche invitano a ricercare le verità, a non adattarsi, a non preoccuparsi del pre-giudizio altrui, ad ascoltare il “canto della notte”, «le parole più silenziose sono quelle che portano la tempesta. Pensieri che incedono con passi di colomba guidano il mondo». Occorre però vivere anche il momento del “tradimento”. Non si può eluderlo. E così, come un allievo idealizza il suo maestro e ne soffre nel momento in cui le sue idealità non corrispondono a realtà, e vorrebbe eliminarlo (in chiave psicoanalitica) se tradito, accade anche tra Gesù e Giuda. L’uno simboleggia il traditore, l’altro l’allievo deluso per aver idealizzato la figura del Maestro, colui che vuole liberarsi dalla sua ombra conducendolo all’arresto. È ben ritratto il vero tradimento, il più doloroso, secondo l’analisi puntuale di Recalcati, quello di Pietro, considerato come la “roccia” sulla quale poter far sostenere la nuova comunità. Questo tradimento è per Gesù più grave perché ‘Pietro e il Maestro’ raffigurano l’amore solido, fedele. Eppur tuttavia, l’esistenza è costellata di dubbio, incertezza, fragilità.

Nel percorso in interiore animo del saggio in cui la narrazione diviene più fitta e densa di emozioni, di soste, di pause e silenzi, si interpongono la grazia e la fede fondamentali per comprendere il divino, le fragilità dell’umano, il senso del vivere. Qui si giunge in sezioni complicate: La notte del Getsemani in cui si piange identificandosi in Gesù abbandonato da tutti, solo, in cui nessun miracolo lo può salvare. Chi di voi non si è trovato nella condizione del Cristo? Gesù prega in una solitudine disperata invocando Dio dal quale non arriva nessuna risposta, e a tal riguardo Bonhoeffer afferma che «essere cristiani non significa affidarsi alla religione, ma essere semplicemente uomini, ovvero fare esperienza, come accade a Gesù nel Getsemani, dell’inesistenza dell’Altro, del silenzio di Dio» (p. 321). È qui la fede nella preghiera per superare la prova più difficile da parte di un Io disarmato, nonché alla fine la grazia: la resurrezione. Ebbene, se «l’esistenza dell’uomo è inscritta tra i due limiti di non sapere che la caratterizzano: la nascita e la morte. Questi limiti della nostra esperienza immanente non sono né coscientemente esperibili, né coscientemente comunicabili, poiché nessuno può riferire l’esperienza della propria nascita (il cui racconto viene consegnato ad altri), come nessuno può testimoniare quella della propria morte. La morte viene quindi costantemente costretta in un’opposizione alla vita, benché in realtà essa la caratterizzi sin dal suo principio» (H. Arendt).

La vita, afferma Arendt, procede costantemente verso la propria morte, pertanto, anche il nostro presente è sempre in relazione con un non-ancora. Mentre, la resurrezione denota l’insegnamento magisteriale cristiano: Gesù vive in eterno attraverso la parola. Vince la morte. Vive ancora oggi attraverso la fede e la grazia, per via di quei “Io” che credono nell’evento-Gesù, colui che viene.

Colui che salva. Tale significato può essere chiamato con le parole di Agamben: “ricapitolazione” e “apocatastasi” (G. Agamben, La lingua che resta), riconoscersi nel presente e viverlo, adempiere al tempo, salvarsi e ricondursi a Dio.

In conclusione, Recalcati si sofferma sulla legge cristiana narrata da Paolo di Tarso: la legge dell’amore, della fede, dell’incontro: «L’evento-Gesù non rassicura, non consola, non protegge, non garantisce, ma espone al rischio, alla follia, allo scandalo, al salto nel vuoto» (p. 432). L’insegnamento di Cristo perciò sovverte quello religioso, al quale si abbarbica l’uomo come edera, il cui aspetto Simmel qualifica come “bisogno”.

Bisogno, paura, senso di colpa, peccato, tutto ciò insomma che non è appartenuto alle parole di Cristo, né alla sua esistenza, né tantomeno agli insegnamenti interpretati in modo rivoluzionario da Massimo Recalcati: Cristo sovverte il significato religioso alla sua radice e apre le porte a desiderare ogni istante della vita con tutto sé stesso, nel presente, fino ad abbracciare anche la ‘più che vita’, quella universale, eterna, divina. Vita, morte. Sembra quasi una “educazione al destino”, l’Ecce homo di Nietzsche.