di Alessandra Macrì
“Il mio tempo adesso era ben riempito e in modo proficuo. Tra l’insegnamento agli altri e l’intenso studio mio, quasi non avevo un momento libero. E questo era piacevole. Sentii che andavo avanti; […] Ancora a metà ignara d’un simile stato di cose e dei suoi effetti procedetti benissimo nella mia nuova sfera d’azione. Dopo le prime difficili lezioni impartite in mezzo ai pericoli e sempre sull’orlo d’un vulcano morale che mi rombava sotto i piedi mandandomi scintille e fiumi caldi negli occhi, quello spirito eruttivo parve, per quanto mi concerneva, placarsi. L’animo mio era teso verso il successo: non potevo sopportare l’idea di venire sconfitta, soltanto a causa di un’avversione indisciplinata e di un’indocilità capricciosa, nel mio primo tentativo di andare avanti nella vita.”[1]
A parlare è la protagonista, del romanzo Vilette, scritto da Charlotte Brontë nel 1853. È Lucy Snowe, una giovane donna che, rimasta sola, lascia l’Inghilterra per stabilirsi a Vilette[2] dove inizialmente è presa a servizio da Madame Beck, poi diventa insegnante del collegio. Madame Beck, istitutrice di un collegio femminile “istituto di educazione ampio e ben avviato”[3], la assume come governante e tutrice delle sue figlie.
“[…] Ripeto, Madame era una gran donna, piena di qualità. Il collegio offriva alle sue doti una sfera anche troppo limitata; avrebbe dovuto governare una nazione; avrebbe dovuto trovarsi a capo di un’assemblea legislativa e turbolenta. Nessuno sarebbe riuscita a dominarla, a irritarne i nervi, a esaurirne la pazienza, o a ingannarne l’astuzia […][4]”, oltre alle capacità amministrative aveva i suoi fidati informatori “una squadra di spie”.
Lucy all’improvviso è assunta come insegnante presso il collegio “[…] Il signor Wilson – il maestro d’inglese – non era venuto all’ora dovuta, e lei temeva che fosse ammalato; le allieve stavano aspettando in classe; non c’era nessuno a fare lezione; ero contraria. Per una volta, a far io un breve esercizio di dettato, tanto perché le allieve non dovessero dire d’aver perduto la loro lezione d’inglese? In classe Madame, domandai, “si in classe nella seconda sezione”[5]. Lucy non dimenticherà mai la prima lezione: “[…] Il primo sguardo m’informò che molte delle allieve non erano più bambine, ma giovani donne addirittura […] Mentre montavo in cattedra (una piattaforma bassa, sollevata d’un gradino sopra il pavimento), dove stavano la sedia e la scrivania della maestra, mi vidi davanti una fila di occhi e di fronti che minacciavano tempesta: occhi pieni di una luce insolente, e fronti dure, e bianche, simili al marmo […] non dimenticherò mai quella prima lezione […][6]. Davanti a Lucy si prospetta, quindi, una nuova vita, ma dovrà superare diversi ostacoli: come quello di imparare una nuova lingua, quello di gestire le ragazze del collegio “Le ragazze più anziane e più intelligenti incominciarono a modo loro a volermi bene”[7], Lucy riesce a conquistare le allieve spronate, tanto da trovare mazzi di fiori sulla cattedra; come ringraziamento andava a passeggiare con qualche allieva scelta.
Attraverso le sue parole, Lucy permette di accedere nel suo stato d’animo e, nel corso della sua vita, possiamo scorgere cambiamenti, un “mutamento di vita”[8], da ragazza spaesata e sola, da semplice spettatrice, Lucy cerca di trovare un piccolo spazio nel mondo. Lucy, riuscirà anche a tenere testa alle discussioni teologiche con il professore Emanuel, un fervente cattolico. Monsieur Emanuel prima di partire nel protettorato francese della Guadalupa le rivelerà il suo amore: “Lucy, prenda il mio amore, Divida un giorno al mia vita. Sia l’essere più caro, il primo sulla terra per me”[9], poi dopo la promessa… l’addio.
Lucy rivela la sua determinazione e tenacia nel perseguire il suo sogno, “Monsieur Emanuel rimase lontano tre anni. Lettore, quelli furono gli anni più felici della mia vita. Respingi il paradosso? Ascolta. Inaugurai la mia scuola; lavorai, lavorai duro. Mi consideravo l’amministratrice d’una proprietà altrui e decisi, a Dio piacendo, di far quadrare bene i conti. Le allieve incominciarono a venire: ragazze borghesi sulle prime, ma ben presto qualcuna di classe più elevata.”[10].
Grazie al denaro pervenutole dal cugino ed erede della “mia cara padrona defunta”, con quelle cento sterline comprò la casa adiacente alla sua. Il segreto del suo successo era dovuto, a suo dire, al nuovo stato di circostanze “nella mia vita meravigliosamente mutata, nel mio cuore rinato”[11]. Trascorrono i tre anni e la data del ritorno di Monsieur Emanuel è fissata “Siamo in autunno; egli sarà con me prima che scendano le nebbie di novembre. La mia scuola è fiorente, la mia casa è pronta”[12], ma, una tempesta di proporzioni disastrose infuria per sette giorni.
Lucy, ferma qui il suo racconto, “Fermati: qui fermati subito. È stato detto abbastanza. Non turbare nessun cuore tranquillo e buono; lascia che le immaginazioni luminose sperino ancora”[13], lascia al lettore la possibilità di immaginare la fine della storia “Sia loro concesso di sognare”.
Un’enigmatica conclusione…
[1] C. Brontë, Villette, Roma, 2018, pp.88-89.
[2] Villlet, capitale del regno di Labessecour.
[3] C. Brontë , in op. cit. p.81.
[4] C. Brontë , in op. cit. p.81.
[5] C. Brontë , in op. cit. p.83.
[6] C. Brontë , in op. cit.pp.85-86.
[7] C. Brontë , in op. cit.p.90.
[8] “Mutamento di vita” è il titolo del capitolo 5, C. Brontë,, Villette, p. 50.
[9] C. Brontë , in op. cit. p . 504.
[10] C. Brontë , in op. cit., p. 506.
[11]C. Brontë , in op. cit., p. 506.
[12] C. Brontë , in op. cit., p. 507.
[13] C. Brontë , in op. cit., p. 508.