Intervista a Lorenzo Paladini

a cura di Eleonora Tondo

Lorenzo Paladini, classe ’93, voce inconfondibile e talento straordinario, entra nel mondo del teatro per caso, ma con passione, determinazione e dedizione diventa attore professionista per scelta, autore e docente.

Studia recitazione nella scuola del Teatro Tangram e doppiaggio presso gli studi O.d.s. di Torino. Notato sin dai primi provini da Ivana Ferri, nel 2016 debutta in “La bambina e il sognatore” al teatro di Bardonecchia, alla presenza di Dacia Maraini, e nel 2017 è fortemente voluto sulla scena da Silvia Battaglio in “Orlando. Le Primavere”, nella rassegna teatrale “Il cielo su Torino” con la compagnia Biancateatro.

Lorenzo Paladini con Dacia Maraini

Tornato in Puglia, la sua terra d’origine, inizia a collaborare con Franco Ungaro e con AMA, l’Accademia Mediterranea dell’Attore, dove lavora come attore, operatore teatrale e assistente alla direzione, organizzando laboratori e curando la didattica di un corso biennale di teatro con i detenuti della casa Circondariale di Lecce.

Il suo più grande successo, nel percorso autoriale che decide di intraprendere, è “Andrea –  prima mia parola”, con cui Lorenzo, già vincitore della terza edizione del “Premio Primiceri” di Astragali Teatro di Lecce, trionfa al “Polline Fest 2022” di Latina, con la seguente motivazione: “Per la sensibilità con cui porta in scena un tema intimamente sentito dall’attore Lorenzo Paladini, che gli dona corpo e voce; per il rigore e l’efficacia dell’esecuzione, la cui concretezza fisica riesce a incarnare le delicate dinamiche interiori del protagonista”.

Lorenzo Paladini in Andrea – prima mia parola

Andrea – prima mia parola

Di e con Lorenzo Paladini

Collaborazione alla regia Francesca Foscarini

Testo di Giulia Madau

Disegno luci Graziano Giannuzzi

Produzione AMA – Accademia Mediterranea dell’Attore

Durata: 50 Minuti

Andrea – prima mia parola” è una produzione di AMA, l’Accademia Mediterranea dell’Attore, diretta da Franco Ungaro, con cui Lorenzo Paladini porta in scena la storia di un ragazzo autistico di 27 anni. È uno spettacolo emotivo in cui si parla tramite l’autismo, non di autismo – sottolinea Lorenzo; infatti, la condizione del protagonista non viene mai precisata né indagata.

Tramite corpo e voce si pone l’attenzione sulla vita di Andrea, un ragazzo che si ritrova con se stesso e prova a conoscersi tramite la sua persona – come farebbe chiunque altro di fronte allo specchio del proprio essere – nel modo più autentico possibile.

“La vedi questa piccola casetta con i muri obliqui e il tetto a punta? È una A”. A di Andrea. Un nome narrato lettera per lettera dal protagonista tramite immagini che si rincorrono nella sua mente. Tra ricordi e incertezze, Andrea prova a leggersi e a scoprire quelle sensazioni vissute e senza nome che giacciono dentro di sé, aspettando di essere esplorate.

Andrea è solo: il silenzio e una sedia sono gli unici elementi sulla scena; e in questa solitudine trova compagnia nelle letture di Shakespeare e di Pennac, che per lui diventano rifugio, dialogo e fonte di conoscenza. Così, in punta di piedi, ci prende per mano e ci conduce nel rumore dei suoi pensieri, raccontando di amori, paure e contraddizioni in modo spontaneo e puro. Andrea, dunque, ci trascina nel suo mondo, mostrandocelo tramite i suoi occhi sinceri.

Noi di “Clinamen – un passo oltre il confine” abbiamo avuto il piacere di dialogare con Lorenzo Paladini e di scoprire qualcosa in più sul suo percorso e sul suo teatro. Uno spettacolo teatrale può essere raccontato fino a un certo punto, perché ci sono storie ed emozioni che vanno viste con gli occhi e vissute col cuore; pertanto, vi consigliamo “Andrea – prima mia parola”.

Chi è Lorenzo Paladini?

Sono Lorenzo Paladini, classe 1993, e non ho mai voluto fare l’attore. Per me la recitazione non rappresentava un sogno nel cassetto: non ero mai andato a teatro né avevo visto spettacoli… prima di trasferirmi a Torino.

Lorenzo Paladini

Io mi sono ritrovato a fare l’attore per caso. Poi, però, ho dovuto prendere una decisione. A tutti può capitare di vivere un’esperienza, ma ad un certo punto è importante scegliere. Per voler fare questa professione si deve avere il coraggio di dire: “ok, da domani mattina non faccio nient’altro che l’attore”; quindi, zero euro in banca, tanto tempo libero a disposizione e tante persone da dover chiamare.

La cosa più difficile da fare è scommettere sulla propria persona. Scommettere sugli altri è facile, su se stessi no. Sugli altri si vedono le potenzialità, su di sé solo i rischi.  Un giorno mi sono chiesto: “scommetto su me stesso?”

Ho avuto una vita attoriale intensa, sono stato molto fortunato. All’inizio avvertivo un po’ la Sindrome dell’impostore, perché mi chiedevo come fosse possibile che in un mondo in cui tutti dicevano che non vi fosse lavoro, io lo trovassi ovunque andassi, sia a Torino sia a Lecce. Pensavo: “O sono straordinariamente capace io, ma non credo, oppure sono fortunato.” Poi, una frase di Seneca mi fece comprendere che non dovevo buttarmi giù, perché “la fortuna non esiste. Esiste il momento in cui il talento incontra l’opportunità”.

Come ti sei avvicinato al mondo del teatro?

Arrivato a Torino, pensai a qualche attività da svolgere per tenermi in forma; tennis? Troppo noioso dopo averci giocato per una vita intera. Dovevo trovare delle alternative. Fu così che mi venne in mente il teatro; mi informai e scoprii che esistevano delle scuole per attori. Non credevo fosse possibile imparare a recitare e ciò mi incuriosì; digitai sulla barra di Google “scuole di recitazione Torino” e il primo risultato che mi apparve fu la Scuola di Teatro Tangram.

Lorenzo Paladini

Andai a fare il provino. “Lorenzo Paladini, vada sul palco”. La direttrice mi chiese se mi piacesse il teatro e io, mai salito su un palcoscenico, le raccontai che a teatro non ci ero mai stato. Sorpresa, mi disse: “ma come? Con questa voce non vuoi fare l’attore?”

Fu la prima persona in tutta la mia vita che mi avesse parlato della mia voce. Nessuno mai l’aveva fatto, nessuno aveva detto mai niente in merito; quindi, non capivo a cosa si riferisse esattamente; insomma, era particolarmente affezionata alla mia voce.
Ed è così che è iniziato il mio percorso.
Fu proprio lei, quattro anni dopo, a propormi il primo lavoro da professionista. Infatti, dopo il periodo di formazione, ho lavorato sin da subito con il Teatro Tangram.

C’è qualche figura che per te è stata un punto di riferimento nel tuo percorso di formazione?

Quando ho iniziato a frequentare la scuola di teatro, mi dicevano: “sei bravo, potresti fare l’attore come lavoro!” Non sapevo cosa volesse dire questo “sei bravo”. Dovevo davvero fare quello nella vita? Imparare un copione e recitare delle battute? Secondo me era noiosissimo.

Poi, in quella rassegna, arrivò Roberto Latini con “Metamorfosi” e pensai: “questa tipologia di rappresentazione sì che mi piace”. All’uscita dal teatro, ricordo, andai da lui e gli dissi che fu merito suo se da quella sera non ebbi più alcun dubbio sul mio futuro, sul fare l’attore come mestiere. Tuttora lo ringrazio. Colpa sua se oggi è questa la mia professione e non posso farne a meno.

Importante fu anche Silvia Battaglio, la mia insegnante, la prima e unica. Mi ha insegnato tutto quello che so e ha creduto in me, fidandosi di me e investendo tanto sulla mia persona. Quando ero ancora uno studente, mi volle al suo fianco in uno spettacolo. Era una grande scommessa andare in scena con un allievo. Esordire al Gobetti di Torino con duecento persone in platea fu una bella sfida.

Lorenzo Paladini con Silvia Battaglio

Hai recitato in “La bambina e il sognatore” di Ivana Ferri, tratto dall’omonimo romanzo di Dacia Maraini. Come è stata questa esperienza?

È stata emozionante, Dacia Maraini fu presente allo spettacolo. Io ero un po’ scombussolato, poiché fui catapultato in un’altra realtà: passai dal contesto di formazione teatrale al mondo lavorativo, dalla scuola di recitazione al mio debutto: mi ritrovai con Dacia Maraini, a recitare in “La bambina e il sognatore” al teatro di Bardonecchia, nell’ambito di un Festival nel 2016. Questo fu il primo lavoro da professionista.

E quella sera, durante lo spettacolo, ci fu un terremoto: all’improvviso tutto il pubblico si alzò in piedi. Io vidi la gente in panico alzarsi, ma inizialmente non capii cosa stesse succedendo, perché chi era con me sul palco non avvertì le scosse. Intervennero anche i pompieri, che aprirono le porte. Lo spettacolo fu ovviamente interrotto e, dopo un quarto d’ora, riprese.

Un terremoto… durante il mio esordio… lo ricorderò per sempre! Mi piace pensare che il mio debutto abbia letteralmente scosso la Terra … non è vero: in realtà, ogni settimana c’è un terremoto, quindi non fa testo.

Franco Ungaro e l’Accademia AMA sono stati fondamentali nel tuo percorso. Dopo il periodo di formazione a Torino, qual è stata la tua vita attoriale?

Dopo il periodo di formazione, ho raggiunto una certa maturità attoriale e ho compreso anche le dinamiche di questo lavoro. Desideravo fortemente creare qualcosa di mio e ho iniziato a sviluppare una mia idea di spettacolo: in questo modo prendeva vita “Andrea”, il nucleo di partenza che, successivamente, sarebbe diventato “Andrea – prima mia parola”: io su una sedia a raccontare. Inoltre, volevo concretizzare i miei progetti a Lecce, perché ero stanco di sentir dire che per fare teatro fosse necessario spostarsi in altre realtà.

Nel 2019, tornato nella mia città d’origine, presi contatto con l’unico nome che io conoscevo in Puglia e che era noto a Torino: Franco Ungaro.
Con il mio solito metodo, cercai ulteriori informazioni riguardanti Ungaro su Google e trovai il suo nome associato ad AMA, l’Accademia Mediterranea dell’Attore. Decisi di frequentare l’Accademia, sebbene non ne avessi tanto bisogno: avevo già studiato presso la scuola di teatro e avevo partecipato a un’infinità di laboratori e a una marea di workshop. Inoltre, Silvia Battaglio aveva creato una piccola compagnia di ricerca teatrale, di cui feci parte per un bel po’ di tempo e con cui ogni anno si organizzavano spettacoli diversi e di vario genere, erano splendidi, delle piccole perle.

Far parte di questa compagnia mi ha aiutato tantissimo, perché qui non ci si limitava a imparare un copione e a recitare delle battute, ma tutto ruotava attorno alla creazione sul momento: ogni allievo doveva creare la scena, compito non semplice. Di conseguenza, per me è stata una palestra incredibile.

Tornato a Lecce, decisi di fare i provini per AMA. Tuttavia, la mia frequentazione dell’Accademia più volte venne messa a dura prova: puntualmente mi facevo conoscere da Franco Ungaro e dagli altri docenti, poi qualcosa andava storto. Per esempio, quell’anno, cioè nel 2019, il corso non partì.
L’anno seguente incominciai a frequentare l’Accademia AMA, ma ad ostacolare il mio percorso fu il Covid.

Superato lo stato di emergenza, ripresi una collaborazione con Ungaro, avviata già in precedenza, e Franco mi chiese anche di lavorare con lui nell’Accademia. In questo modo, abbiamo avuto la possibilità di conoscerci meglio, stimandoci reciprocamente e volendoci bene. Iniziai, in seguito, ad affiancarlo pure nella direzione di AMA.

Mi piaceva la concezione che egli aveva del teatro, quindi tutto era perfetto. Era il motivo per cui ero tornato a Lecce da Torino: creare in Puglia qualcosa in cui fosse presente la condivisione, qualcosa che percepissi come mio, nostro.
Proposi a lui di produrre la mia idea originaria di spettacolo, “Andrea”. Accettò e mi fece lavorare con una danzatrice, Francesca Foscarini; mi diede gli strumenti necessari, sistemai lo spettacolo, cambiandolo completamente, e nell’aprile 2022 debuttai al “Polline Fest” con “Andrea – prima mia parola”, vincendo. Sensazione mai provata prima.

Andrea – prima mia parola. Come nasce?

“Andrea – prima mia parola” è nato da un processo creativo. Il nucleo iniziale ruotava intorno a un ragazzo autistico che aveva scelto di non parlare più. Chissà quante cose avrebbe avuto da dire se avesse voluto. Quindi, ho deciso di fargliele raccontare. Così, ha preso vita questa storia, scritta con Giulia Madau. L’idea nasce dal nulla, senza un testo di partenza, senza una regia precedente né una drammaturgia.

Come mai la scelta dell’autismo?

Era una tematica che non conoscevo e mi sono stupito. È come scoprire qualcosa che tutti conoscono, ma a cui tu non hai mai prestato attenzione; io non avevo mai fatto caso all’autismo e mi ha sorpreso questo fatto. Poi, è sorta la curiosità: la necessità di informarmi e l’esigenza di documentarmi. Ho scoperto che non ne parlava nessuno, ma era una realtà enorme. Recentemente, si sta iniziando a parlare di questo argomento in maniera più consapevole e ne sono contento.

Tuttavia, il mio “Andrea – prima mia parola” non è uno spettacolo con una finalità sociale e non vuole essere denuncia. È una storia: la storia di un ragazzo che ha avuto problemi con la madre, con il padre, con una ragazza; insomma, può essere la storia di qualunque ragazzo.
Non è uno spettacolo che parla di autismo, ma tramite l’autismo – ci tengo a sottolinearlo, perché per me l’inclusione non è parlare di un problema, ma attraverso esso. Questa tematica attraversa lo spettacolo, ma la storia è quella di ognuno di noi, una storia sulla lettura, sull’amore, sulla famiglia.

Andrea, con le sue ripetizioni, potrebbe essere chiunque. Ognuno ha le sue particolarità e io le ho semplicemente messe insieme. Non viene mai nominato l’autismo, l’unica cosa che più o meno può far pensare a questo modo di essere è una frase che la madre pronuncia: “mi piace come ti muovi, perché sembra che tu stia danzando”. Ma questa peculiarità potrebbe essere riferita a tante altre persone.

Io ho visto rappresentato questo disturbo a teatro ed è qualcosa di terribile; non mi piace, perché significa rappresentare una disabilità e ciò non è bello.
Penso che il teatro sia un’opportunità. Chi fa teatro dovrebbe capire ancor di più questo concetto; noi attori sulla scena rappresentiamo la vita, ma in modo diverso dal solito, osservandola da un altro punto di vista. L’attore dovrebbe imparare a superare la quotidianità, rendendola più interessante, proprio come fa Andrea.
Il teatro è vita, attinge da essa e non può andare verso l’astrazione.

Quanto e come ti sei informato sull’autismo?

Mi sono informato per molto tempo, dal 2015 al 2019, confrontandomi con tanti educatori. Non ho mai parlato direttamente con i ragazzi, li ho visti, li ho osservati nei loro atteggiamenti, ma molti dei gesti che ho preso per Andrea vengono da persone normodotate. Tutti i movimenti di Andrea non sono mai imitati da ragazzi autistici e questo fa riflettere molto: tutti ci vedono l’autismo nel protagonista, in realtà, l’unico aspetto che chiaramente è stato ripreso da loro è il modo di raccontare, il fatto che Andrea ripeta un po’ a memoria determinate informazioni.

C’è qualcosa in comune tra Lorenzo e Andrea?

Tantissimo! Io considero Andrea come mio fratello minore, per un motivo ben preciso: ci somigliamo tanto, ma siamo tanto diversi, proprio come accade per due fratelli.  Minore, perché nutro quel senso di protezione, per cui io so cosa è meglio per Andrea.

Per esempio, io mi rendo conto quando nello spettacolo ci sono dei punti noiosi che si dovrebbero cambiare, ma Andrea mi fa capire che non devo, perché lui ha bisogno anche della noia durante lo spettacolo. Sono consapevole che in alcuni momenti Andrea non può stare in silenzio, poiché altrimenti il pubblico si indispone, quindi, sarebbe necessario creare un ritmo, invece, Andrea mi dice: “no, ora stai seduto e non dici nulla per dieci secondi, rimani in silenzio, perché ne ho bisogno”, allora litighiamo. È come se ci incontrassimo ogni volta: è magia, è una cosa incredibile. Io so cosa è preferibile per lui, ma devo rispettare le sue scelte.

Lorenzo Paladini

Io non credo mai nel personaggio creato. Il personaggio è lì e va incontrato. Ormai, ci metto pochissimo a incontrare Andrea, lo conosco molto bene e so dove trovarlo dentro di me, ma all’inizio era una lotta e, quando finivo lo spettacolo, ero stremato; adesso va sempre meglio.

Oltre ad Andrea, sei legato ad altri ruoli che hai interpretato?

Il personaggio a cui sono legato di più dopo Andrea, per ovvi motivi, è Orlando di Virginia Woolf. Ho interpretato questo ruolo in “Orlando. Le primavere”, un teatro – danza con la regia, le coreografie e la drammaturgia di Silvia Battaglio. Questo ragazzetto di sedici anni si risveglia donna. In un mondo in cui non si parlava di identità di genere, era difficile e al tempo spiegare questo tipo di spettacolo.
È un ruolo meraviglioso che mi ha insegnato tanto sul teatro e su come debba essere un attore. In questa rappresentazione c’era molta danza e ho trovato in corpo una delicatezza e una femminilità che non pensavo di avere.

Un attore deve saper far tutto e, se non è capace, deve far finta di riuscirci. L’attore non sa fare niente di tutto quello che rappresenta in scena, però deve simulare di essere in grado. Il teatro è un artificio.
Sono odiosi gli attori che credono di saper fare davvero ciò che hanno rappresentato sul palco.  Interpretano un ruolo e credono di essere quel ruolo, recitano l’Amleto e si sentono Amleto, non è così.

Il vantaggio dell’attore è prendere piccoli pezzi di sé nel momento del bisogno. La femminilità di Orlando io l’ho trovata, non l’ho inventata, era già dentro di me e non lo sapevo, perché non avevo mai scavato così a fondo a tal punto da scoprirla. L’attore deve esternare al momento giusto e deve essere in grado di chiudersi al termine dello spettacolo. La recitazione è un lavoro metodico, non è solo passione. Chi fa l’attore per passione, prima o poi, lo farà anche per mestiere.

Oltre alla recitazione, hai studiato anche doppiaggio. Come è stata questa esperienza?

Ho studiato doppiaggio per tre anni ed è stata un’esperienza bellissima.
Ammetto di aver commesso l’errore che un po’ tutti gli allievi fanno: a tutti piace la mia voce? Bene, mi butto su quella! È una mossa che sconsiglio fortemente, non bisogna mai adagiarsi su qualcosa.

Da una parte, mi piaceva l’idea di cullarmi su qualcosa che piaceva e funzionava; dall’altra, io sono particolarmente preciso: lavoro molto sulla tecnica; quando mi assegnano un testo, io imparo a memoria le battute ancor prima di arrivare alle prove, sono molto metodico; per cui non solo volevo avere una bella voce, ma desideravo anche che fosse impeccabile. Insomma, non mi accontento! Soprattutto, se vedo un problema, ci lavoro tanto a tal punto da risolverlo.
Infatti, inizialmente ero oggettivamente biascicone. Ho notato il difetto e ho studiato tanto per correggerlo. Sono stato contento, perché nell’arco di un anno i miglioramenti furono notevoli. Avevo lavorato interamente su questo aspetto e lo avevo corretto.

Se fossi a un bivio tra doppiaggio e recitazione, cosa sceglieresti?

Assolutamente recitazione! Io non ho mai smesso di fare teatro e, terminata la scuola di doppiaggio, ho deciso di occuparmi esclusivamente di recitazione.
Per quanto riguarda il doppiaggio, mi sono lasciato una porta aperta, perché è un mondo che mi piace. Con la voce registrata si può lavorare tanto; io ho realizzato delle registrazioni per audiolibri, per pubblicità, per radio, per manuali di aziende. Però, venendo dal teatro fisico, ho bisogno del corpo, nonostante io lavori tanto con la voce e organizzi tuttora corsi di dizione.

Tuttavia, al momento, il doppiaggio è molto lontano da me e dalla mia espressività, perché esso non crea nulla; in questo momento, il mio percorso è autoriale: mi piace creare. Riconosco di aver fatto una cosa che è molto rara tra i miei coetanei, cioè la creazione di uno spettacolo: essa richiede una responsabilità enorme che comporta anche continue ansie. È un rischio, perché vuol dire esporsi tanto. Tutto quello che si vede sul palcoscenico l’ho ideato io. Dunque, se al pubblico non piace, è colpa mia e non posso rifugiarmi dietro un regista né dietro un drammaturgo, non posso attribuire un errore a una sceneggiatura fatta male, a un testo sbagliato, non posso fare assolutamente nulla di tutto questo; la colpa è solo mia.

Progetti futuri?

Tante cose. Voglio sperimentare tanto. Voglio partire con una nuova produzione a breve. Mi piace molto insegnare e, soprattutto, lavorare con gli adolescenti. È una cosa che ho scoperto grazie ad AMA e che vorrei coltivare.

Il mio progetto futuro è diventare l’attore che vorrei essere, che non so qual è. Ho scelto questo percorso autoriale, che è molto complesso, ma sono felice. Non voglio essere un semplice attore. Sono molto ambizioso. Voglio essere un attore ben definito e avere una mia identità. Io non pretendo di piacere a tutti, non voglio essere bravo, ma sogno di essere un attore che o piace o non piace.