di Nicolò Errico
Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, il politico neofascista, ex militare e nobile italiano Junio Valerio Borghese tenta un colpo di stato contro lo stato italiano. Mentre nel buio reparti di guardie forestali, militari e militanti neo-fascisti si muovono verso obiettivi tra Milano e Roma, lo stesso Borghese annulla improvvisamente il golpe. Secondo successive indagini, sarebbe stata la mancata adesione dell’Arma dei Carabinieri e degli Stati Uniti a far desistere il cosiddetto “Principe Nero”, che trovò poi rifugio nella Spagna di Franco.
A cinquantadue anni di distanza, il 7 dicembre 2022 si sono svolti due eventi che, nonostante le loro differenze, danno un allarme circa la salute della democrazia in questi anni ‘20 del 2000, come lo fu per l’Italia il tentativo eversivo di Borghese. Da una parte l’auto-golpe del presidente Castillo in Perù (figura legata alla sinistra del paese), dall’altra lo smantellamento in Germania di una rete di estrema destra che pianificava un assalto armato al Parlamento con tanto di instaurazione di un nuovo governo in continuità con i Reich precedenti la Repubblica Federale.
In Perù, Pedro Castillo ha annunciato l’intenzione di sciogliere il Parlamento, dove avrebbe affrontato un procedimento di impeachment per “incapacità morale”, il terzo da quando si è insediato il 28 luglio 2021. Castillo era il volto della sinistra populista – lui insegnante di origini contadine con esperienza sindacalista – che aveva sconfitto al ballottaggio Keiko Fujimori, la figlia dell’ex dittatore peruviano di destra Albero Fujimori, durante le elezioni piu polarizzanti della giovane democrazia sudamericana.
Nuove elezioni, nuova costituzione e coprifuoco. Questo conteneva il messaggio di Castillo alla nazione, che ha mobilitato subito oppositori e colleghi di partito contro il presidente. La presidente del Consiglio Betssy Chavez e cinque ministri hanno rassegnato le dimissioni insieme al capo dell’esercito e ad alcuni diplomatici.
La vicepresidente Boluarte ha abbandonato Castillo qualche ora dopo, mostrando l’inconsistenza della minaccia del presidente. Il canto del cigno è avvenuto dopo alcune ore di incertezza, quando il comando congiunto delle forze armate e la polizia ha diffuso un comunicato in cui hanno espresso fedeltà alla Costituzione, scaricando il capo dello Stato.
Dissipatisi i dubbi sul coinvolgimento o meno dell’esercito nel golpe, il Parlamento ha destituito Castillo con 101 voti a favore (su 130 membri), sei contrari e dieci astensioni. La polizia dunque ha proseguito all’arresto di Castillo nella sede della Prefettura di Lima, dove si era rifugiato. La Procura generale peruviana ha poi informato che è stato avviato un procedimento preliminare contro l’ex presidente “per presunti reati contro i poteri dello Stato e l’ordine costituzionale”, sotto la forma di “ribellione” ai danni dello Stato, i presunti reati di ribellione e associazione per delinquere.
L’8 dicembre, Dina Boluarte ha giurato secondo Costituzione, diventando la prima presidente donna del Perù, posizione che dunque resta in mano alla sinistra peruviana, ora fortemente compromessa dal malcontento di mal governo – Castillo era stato fortemente contestato per non aver saputo gestire la crisi economica del paese – per la breve parentesi autoritaria dell’ex presidente.
Lo stesso 7 dicembre tremila membri della polizia tedesca hanno condotto circa 130 perquisizioni, portando all’arresto di venticinque membri di un “gruppo terroristico” di estrema destra, con circa cinquanta sospettati in tutto. Ispirati dal movimento “Cittadini del Reich” (Reichsbuerger) e legati all’universo complottista di estrema destra di QAnon, per affermazione della stessa polizia tedesca, gli affiliati sono stati arrestati per “aver fatto preparativi concreti per entrare con la forza nel Parlamento tedesco con un piccolo gruppo armato”, come dichiarato dai procuratori.
Formato da politici ed ex militari, vicini al partito tedesco di estrema destra AfD (Alternative für Deutschland) il gruppo pianificava l’uccisione dell’attuale Cancelliere, Olaf Scholz, e la creazione di un nuovo Reich in continuità con le precedenti monarchie ed il regime nazista. Il nuovo governo avrebbe rinegoziato i trattati che hanno portato alla nascita della Repubblica Federale Tedesca in seguito alla Seconda Guerra Mondiale. Secondo il gruppo, l’attuale stato tedesco, in linea con il pensiero complottista del deep State – tanto caro all’ambiente del trumpismo -, sarebbe infatti in mano ad una lobby di potenti ostile alla nazione.
Il Cancelliere Scholz era parte di una lista di diciotto esponenti dello stato tedesco che il gruppo avrebbe eliminato una volta raggiunto il potere. Il golpe prevedeva il sabotaggio del sistema elettrico del Parlamento, a cui sarebbe seguito un assalto armato. Ironica la somiglianza con la vicenda del golpe Borghese.
Infatti, un membro della passata nobiltà tedesca, il settantenne auto-intitolato Principe Heinrich XIII della casata di Reuss, è ritenuto uno dei principali promotori del gruppo, insieme a giudici, politici di estrema destra ed ex militari.
Il piano prevedeva l’insediamento del nobile a capo dell’ala civile del nuovo Reich, sostenuto da un braccio militare guidato da un ex paracadutista dell’Esercito tedesco, identificato dalla polizia come Rüdiger v. P. Un arresto è stato eseguito anche a Perugia, oltre che in Austria. L’amministrazione tedesca prevede una seconda ondata di arresti.
Quasi due anni sono passati dall’assalto dei sostenitori di Trump a Capitol Hill, avvenuto il 6 gennaio 2021 a Washington, in seguito alla vittoria dell’attuale presidente statunitense Joe Biden. Secondo fonti autorevoli, Trump avrebbe chiesto l’opinione dei collaboratori circa la possibilità di sfruttare il momento per effettuare un golpe, ma la chiara posizione dell’esercito a difesa della Costituzione lo avrebbe fatto desistere.
La somiglianza con il maldestro tentativo di Castillo è evidente. In entrambi i casi troviamo infatti il fallimento nel trovare il supporto dell’esercito – come per Borghese, salvo alcune eccezioni –, la fiducia nella propria forza populista e l’arroganza della persona del presidente.
Ma la frequenza di queste crisi esistenziali di paesi ritenuti stabili – con il dovuto riconoscimento delle differenze dei contesti politici -, il richiamo troppo frequente allo strumento del colpo di stato – pratica da cui l’Europa occidentale si è allontanata solo negli anni ‘70 – e l’influenza del pensiero complottista-populista dietro questi azzardi dovrebbero essere dei segnali di allarme per un Occidente che fino ad oggi si è voluto pensare libero da simili rischi.
L’informazione e la prevenzione, oltre ad una sincera adesione alla democrazia da parte delle istituzioni, sembrano essere gli unici strumenti che possono evitare che casi simili arrivino ad esiti devastanti. Casi che ci mostrano come il rischio dell’autoritarismo sia sempre dietro l’angolo, anche dove ci abituiamo a credere che non sia più in vista.
Per chiudere, la citazione di un passaggio del film Vogliamo i colonnelli (regia di Mario Monicelli, 1973), proprio ispirato alla vicenda del golpe Borghese, sembra dare il più appropriato dei moniti:
«Anche la marcia su Roma fu una pagliacciata… Ma riuscì.»