di Alessia S. Lorenzi
Ho bisogno di poesia
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.
Alda Merini
Nata il 21 marzo del 1931, “insieme alla primavera” come era solita dire, per molto tempo etichettata come “malata mentale”, è invece poetessa di vita, di amore e di speranza.
Alda Merini ha avuto una vita quasi romanzesca, un’artista maledetta, internata in manicomio e un rapporto così stretto con la follia da renderla leggendaria e quasi eroica.
In una toccante intervista rilasciata nel 1997, disse: “Penso che la base della follia sia questa continua frustrazione dei rapporti. Questo emarginare la persona ritenuta malata. Il giudizio sulla persona malata di solito viene da persone che non sanno assolutamente che cosa sia”
Alda frequenta la scuola e, allo stesso tempo inizia lo studio del pianoforte, strumento che ama particolarmente. Inizia a scrivere molto presto. Appena adolescente la sua scrittura viene notata dal prof. Spagnoletti che, nel 1950 inserisce in un’Antologia due poesie di Alda appena diciassettenne.
Dalla metà del Novecento è diventa una delle voci più amate della poesia. Ha sofferto molto nella sua vita; ha vissuto il dolore del manicomio e la tortura dei di tanti elettroshock che le sono stati inflitti.
La poesia è stata forse per lei l’ancora che l’ha tenuta legata alla vita, che le ha impedito di naufragare in quel mare di tormenti che spesso l’hanno avvolta nei continui e lunghi ricoveri.
“Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.”
Ha vissuto di poesia e, come dicevo, anche grazie alla fede. Spesso non riusciva nemmeno a comprendere il senso stesso della vita e si interrogava su di esso:
“La vita non ha senso, anzi è la vita che ci dà un senso, sempre che noi la lasciamo parlare. Perché prima dei poeti, parla la vita. Dobbiamo ascoltarla.”
Lei stessa affermava di non capire fino in fondo il senso e la matrice della propria poesia e spesso si abbandonava al sogno che le restituiva una vita normale e un divertimento gioioso che, purtroppo, lei aveva perduto troppo presto. Le alleviava la sofferenza che la realtà portava con sé.
“I grandi poeti parlano come venissero dall’aldilà e per parlare da uno stato di morte bisogna prima morire. Da un’esperienza di morte come quella del manicomio bisogna uscire per parlarne poi da vivi”.
Quando scriveva riusciva a entrare nella sua anima tirando fuori i sentimenti più nascosti. Della poesia diceva:
“È una forza che nasce in me, come una gravidanza che deve essere portata a termine”.
Amava essere definita “poetessa di vita” e non “la poetessa della pazzia” come la considerava qualcuno.
“Ho parlato del manicomio perché era il luogo in cui vivevo in quel periodo”.
La prima volta che la poetessa entrò in manicomio era molto giovane. Fu rinchiusa senza che ne sapesse niente. Una cosa orribile per lei, soprattutto se si considera la sua giovane età. “Quando mi ci trovai nel mezzo credo che impazzii sul momento stesso in quanto mi resi conto di essere entrata in un labirinto dal quale avrei fatto fatica ad uscire. Improvvisamente, come nelle favole, tutti i parenti scomparvero”. Avevo due figlie e qualche esperienza alle spalle, ma il mio animo era rimasto semplice, pulito, sempre in attesa che qualcosa di bello si configurasse al mio orizzonte”
Aveva provato a parlare col marito delle sue difficoltà, della stanchezza che a volte “intorpidiva la mente”, ma lui non comprese il suo disagio e così il suo esaurimento si aggravò.
Parlando del suo primo ricovero a Milano, Alda ci descrive la condizione in cui vivevano i malati prima della Legge Basaglia (che impose la chiusura dei manicomi), le umiliazioni, le violenze, le vere e proprie vessazioni che venivano inferte da medici e infermieri, forti solo della loro “normalità” contrapposta alla presunta “pazzia” dei ricoverati.
La sua vocazione artistica, che era stata tenuta “al guinzaglio” dai problemi che doveva affrontare nella vita di tutti i giorni, esplode consentendole di trovare una sua dimensione e un po’ di celebrità che le procura anche dei dispiaceri .“Il poeta va incontro a invidie, paure, ricatti, delusioni. La vita ti fa pagare il successo; gli ignoranti, i persecutori e persuasori del talento, te lo fanno pagare”.
Dopo gli inizi, si abitua un po’ a quella sua vita da internata. La società l’aveva delusa e quindi lei la taglia fuori dalla sua vita così come la società sembrava avesse fatto con lei. Delusa anche dal comportamento del marito. Come dichiara la stessa Merini: “Mio marito non veniva mai a trovarmi. Ogni giorno mi appostavo davanti all’ingresso e mi accoccolavo per terra, proprio come una geisha, e aspettavo per ore che lui si facesse vivo. Poi, vinta dalla stanchezza, e con le lacrime agli occhi, tornavo nel mio reparto”.
E ancora:
“Ti aspetto e ogni giorno
mi spengo poco per volta
e ho dimenticato il tuo volto.
Mi chiedono se la mia disperazione
sia pari alla tua assenza
no, è qualcosa di più:
è un gesto di morte fissa
che non ti so regalare.”
Lei sosteneva che il manicomio almeno lasciava spazio alla parola, mentre fuori era molto peggio. “Il vero inferno è fuori, qui a contatto degli altri, che ti giudicano, ti criticano e non ti amano”.
Sosteneva che il poeta soffre più degli altri perché è più sensibile alla vita e, alle volte, non tenta nemmeno di difendersi dalle cose brutte che gli capitano.
“È bello accettare anche il male. Una delle prerogative del poeta ed è stata anche la mia, è non discutere mai da che parte venisse il male. L’ho accettato ed è diventato un vestito incandescente, è diventato poesia”
Ora preferisco far parlare i suoi versi, ricchi di sensibilità, amore e tanta speranza, perché Alda nonostante il suo vissuto, nonostante tutte le delusioni non è mai rassegnata, ma sempre pronta a sperare e a infondere speranza.
Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.
I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere Iddio.
Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.
Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
Le più belle poesie si scrivono
davanti a un altare vuoto,
accerchiati da argenti
della divina follia.
Così, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all’umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello a Giona.
A tutti i giovani raccomando:
aprite i libri con religione,
non guardateli superficialmente,
perché in essi è racchiuso
il coraggio dei nostri padri.
E richiudeteli con dignità
quando dovete occuparvi di altre cose.
Ma soprattutto amate i poeti.
Essi hanno vangato per voi la terra
per tanti anni, non per costruivi tombe,
o simulacri, ma altari.
Pensate che potete camminare su di noi
come su dei grandi tappeti
e volare oltre questa triste realtà
quotidiana.
I versi sono polvere chiusa
di un mio tormento d’amore,
ma fuori l’aria è corretta,
mutevole e dolce ed il sole
ti parla di care promesse,
così quando scrivo
chino il capo nella polvere
e anelo il vento, il sole,
e la mia pelle di donna
contro la pelle di un uomo.
Bambino, se trovi l’aquilone della tua fantasia
legalo con l’intelligenza del cuore.
Vedrai sorgere giardini incantati
e tua madre diventerà una pianta
che ti coprirà con le sue foglie.
Fa delle tue mani due bianche colombe
che portino la pace ovunque
e l’ordine delle cose.
Superba è la notte
La cosa più superba è la notte
quando cadono gli ultimi spaventi
e l’anima si getta all’avventura.
Lui tace nel tuo grembo
come riassorbito dal sangue
che finalmente si colora di Dio
e tu preghi che taccia per sempre
per non sentirlo come rigoglio fisso
fin dentro le pareti.