a cura di Nicolò Errico
Europe Must Act (EMA) è un movimento che si sta allargando in tutta Europa sull’onda della crescente consapevolezza dei cittadini europei della violenta gestione dei confini dell’Unione Europea e delle condizioni di prigionia imposte sulle persone che cercano rifugio. Lo scopo di EMA è portare l’attenzione sulle violazioni dei diritti umani e gli abusi che vengono compiuti lungo le frontiere europee dalle autorità, ma non solo. Infatti, EMA si prefigge anche di raccogliere gli esempi positivi di accoglienza – attraverso comunità, ONG, attivistə – che possano rappresentare un’alternativa ai campi-profughi in cui migliaia di rifugiatə sono costrettə a vivere in condizioni disumane. Più in generale, EMA chiede una revisione della politica europea su migrazione ed accoglienza in senso inclusivo, che sia rispettoso dei diritti umani e che soprattutto non comporti la militarizzazione delle frontiere e l’imprigionamento di donne, uomini e bambini contro la loro volontà. EMA è un movimento apolitico e non-violento, e si articola in una rete territoriale di gruppi locali chiamati “capitoli”.
Oggi, nonostante la dimensione internazionale di EMA, noi di Clinamen parleremo direttamente con uno di questi capitoli, ed in particolare, con una sua attivista e membra fondatrice del capitolo di EMA di Ravenna, Anna Ciafardoni.
Dove nasce l’idea di aprire un “capitolo” di Europe Must Act a Ravenna? Cosa condividono i membri del vostro gruppo?
Ravenna Must Act nasce circa un anno fa, da un’esigenza di azione che era diventato difficile ignorare. Molti dellə nostrə attivistə erano da poco tornati dalla Grecia, dove avevano avuto la possibilità di conoscere e di toccare con mano quello di cui parliamo e per cui ci attiviamo. Le realtà nella penisola ellenica sono variegate, ma molti di noi hanno avuto esperienza con i progetti portati avanti dalla collaborazione di tre associazioni La Luna di Vasilika, One Bridge to Idomeni e Aletheia RCS, tra Atene e Corinto. Progetti che si occupano di assistere rifugiati e richiedenti asilo e cercare di dare loro accesso a beni di prima necessità, come cibo vestiti e quando serve assistenza medica o legale, in collaborazione con altre associazioni sul territorio. Lə ragazzə sono poi rientrati nella piccola realtà di Ravenna, e in particolare nel corso universitario dell’Università di Bologna, International Cooperation on Human Rights and Intecultural Heritage (I-CONTACT). Così, grazie all’esempio e al supporto di Florence Must Act, abbiamo deciso di aprire un capitolo a Ravenna. Anche lə nostrə colleghə stabili a Ravenna, motivati anche dalle tematiche del nostro corso di studi, sono statə coinvoltə. Siamo convintə che non può essere il luogo dove nasci a definire chi sei, e che tutti hanno diritto a migrare; che l’istituzione dei campi profughi, degli hotspot e dei Centri di permanenza temporanea (CPR) debba essere abolita perché rende impossibile la soddisfazione dei più basilari diritti umani, nonché rappresenta una criminalizzazione della migrazione e spesso comporta di fatto delle detenzioni arbitrarie; che il sistema di accoglienza europeo, rappresentato dal Regolamento di Dublino III, sia inumano e punti su una militarizzazione ed esternalizzazione dei confini, e per questo debba essere riformato in toto; crediamo nella collaborazione piena con la società civile per promuovere l’accoglienza diffusa, e che le azioni debbano farsi dal basso, dove le persone coinvolte abbiamo potere decisionale e mai imposte dall’altro; riaffermiamo infine che tuttə siamo coinvoltə nel fenomeno migratorio, tuttə ne siamo responsabili e per questo dobbiamo agire.
Quali sono alcune delle vostre attività sul territorio? Siete statə soddisfattə dalla risposta che avete ricevuto dalla popolazione locale o di qualche fascia in particolare?
Il nostro primo obiettivo era l’approvazione della Delibera. Su modello di quella già fatta approvare da Florence Must Act, abbiamo redatto la versione ravennate del documento e abbiamo iniziato un’intensa collaborazione con il Comune di Ravenna. Questo atto ha l’obiettivo di coinvolgere le istituzioni, sensibilizzarle e attivarle per una gestione più equa e umana della migrazione. Con l’approvazione della Delibera da noi proposta, il Comune di Ravenna esprime “piena solidarietà al movimento Europe Must Act (sezione italiana), identificandosi come comune solidale e impegnandosi ad accogliere rifugiati e migranti proporzionalmente alle proprie capacità, in un’ottica di accoglienza equa e diffusa anche attraverso le procedure riconosciute dallo Stato Italiano, come l’adesione volontaria al Sistema di Accoglienza e Integrazione (SAI, ex. Sprar/Siproimi)”. Tra le attività di cui andiamo più fieri senza dubbio quelle fatte nelle scuole, dove lə volontariə sono andati nella Istituto Tecnico Industriale Statale Nullo Baldini e hanno presentato un dialogo sui temi dell’immigrazione e dell’integrazione. Siamo convintə che interfacciarci con le nuove generazioni sia fondamentale per decostruire alcuni pregiudizi e miti sull’accoglienza. È stato bello vedere quanto lə studentə fossero presi da questi temi, inoltre grazie alla partecipazione di Abraham Tesfai, un nostro attivista e collega ad I-CONTACT, nonché rifugiato dell’Eritrea, abbiamo avuto la possibilità di dare una prospettiva personale e umana. Ovviamente, è stata fondamentale la collaborazione con i docenti, in particolare ci teniamo a ringraziare Gianmarco Mascilongo, senza il quale sarebbe stato impossibile creare questo momento di condivisone. Un altro evento davvero bello è stata la nostra partecipazione al Festival delle Culture. Da un lato ha rafforzato il nostro rapporto con il Comune di Ravenna con cui ormai possiamo vantare una costante collaborazione e ci ha dato la possibilità di entrare in contatto con molte realtà del territorio ravennate. L’ultimo evento che stiamo organizzando è il Ravenna Migration Film Festival, in collaborazione con l’Università di Bologna, il Comune di Ravenna e Fondazione Flaminia. È un progetto che articola quattro giornate come quattro tappe del viaggio migratorio, la partenza, il mare, l’arrivo e l’Europa, per ogni momento abbiamo scelto un film/documentario pertinente, nonché un ospite d’eccezione, a cui seguirà un dibattito, con l’obiettivo di creare una riflessione inclusiva e coerente con i valori che Ravenna Must Act porta avanti.
Il vostro gruppo è nato piuttosto recentemente, ancora lontani dall’essere una realtà stabile nel ravennate. Come intendete affermare la presenza del vostro capitolo sul territorio?
Ravenna Must Act è un movimento completamente orizzontale, siamo tutti allo stesso livello, non ci sono gerarchie e tuttə hanno la facoltà di proporre iniziative e progetti. Abbiamo molta fiducia negli studenti e nelle studentesse che entreranno quest’anno a Ravenna. Molti di quelli che hanno iniziato questa avventura quest’anno non saranno più su suolo ravennate e parteciperanno da remoto. Questa è una sfida, ma anche una grande opportunità, perché obbliga anche le persone entrate da poco a mettersi in gioco fin da subito. Per affermare la nostra presenza è innanzitutto fondamentale avere una squadra su Ravenna, quindi appunto iniziamo “reclutando” nuovə volontariə, poi cercando di rafforzare le collaborazioni con Unibo e con il Comune, che fin da subito ci hanno sostenuto e hanno saputo accogliere, le nostre proposte. Infine rafforzando la rete, che già abbiamo creato in questo primo anno, tra associazioni e realtà presenti sul territorio. Supportandoci e soprattutto cercando di dare risposte collettive agli eventi che accadono nel nostro territorio di azione.
Europe Must Act vuole denunciare gli abusi nella gestione delle frontiere dell’Unione Europea e contribuire ad una gestione più umana dell’accoglienza delle persone in cerca di rifugio. Come vi ponete di fronte ad una sfida di portata continentale? Secondo voi, è veramente importante agire localmente per affrontare una questione di una tale grandezza?
Assolutamente sì! Siamo convinti che la sensibilizzazione su grandi numeri perda di concretezza, mentre se con le persone ci parli, hai modo di creare un confronto è tutto diverso. Ci sono stati diversi episodi di razzismo a Ravenna e noi ci siamo sentiti chiamati in causa e ne abbiamo parlato e abbiamo cercato di ascoltare le esigenze delle persone. È stata una cosa che ha toccato tutti e tutte, il razzismo è una problematica quotidiana, e quotidianamente va affrontata. Poi crediamo che le politiche disumane che l’Europa sta portando avanti nei suoi confini siano, tra le altre cose, frutto di una cultura di paura del diverso che può essere contrastata anche e soprattutto nelle dinamiche locali. È per questo che è importante creare rete e sensibilizzazione nei contesti nei quali moltə rifugiatə, utilizziamo il termine in maniera generica per includere tutte le persone in movimento, si trovano a vivere e purtroppo spesso a sperimentare nuove forme di umiliazione e violenza.
Siete impegnatə nella diffusione di una cultura positiva dell’accoglienza attraverso l’informazione. L’Italia e l’Europa intera mostrano da un lato una faccia brutale, capace di scendere a patti con dittatori e miliziani pur di arrestare l’onda migratoria. Dall’altro invece, si possono vedere tanti piccoli esempi di inclusione armoniosa e di sviluppo – mi viene da pensare all’esempio di Riace che ha fatto tanto scalpore. Cosa deve cambiare, secondo voi, nella mentalità di un cittadinə europeə affinché’ si approcci in modo più sereno all’idea di includere persone di diversa provenienza?
Intanto c’è da fare una premessa. La pietà, la commiserazione, la compassione sono sentimenti che vanno lasciati fuori da questo dibattito perché rappresentano le persone in movimento come vittime sfortunate e sempre in funzione di noi che “aiutiamo”. Inoltre, è sbagliato a nostro avviso, che ci si approcci alle persone che arrivano nei nostri paesi come se fossero macchiati di una colpa ancestrale, colpa che deve essere espiata essendo lə cittadinə -senza cittadinanza- perfettə. Le persone in movimento che arrivano sono diverse tra loro, e incasellarle tutte nella categoria di buono o cattivo, dà una rappresentazione parziale e irrealistica del fenomeno migratorio. In secondo luogo, bisogna aprire un libro di storia e cercare di ricostruire una responsabilità collettiva dei flussi migratori. Non sono rotte che si aprono in maniera casuale, c’è dietro un preciso disegno politico, fomentato dai governi dei paesi europei e dai loro interessi, quindi toglierci dall’equazione migrazione, come se “loro” venissero qua solo per turbare la nostra quiete, senza riconoscere le nostre responsabilità, è ancora una volta irrealistico e utopico. Bisogna riappropriarsi della verità storica in merito alla migrazione ricordandosi che tutti quelli che promettono di fermare la migrazione o sono dei bugiardi o sono degli stupidi, perché si migra, si è migrato e si migrerà sempre. Sono delle politiche discriminatorie, che vogliono restare tali perché gli strumenti per essere solidali ci sono, per citarne uno: la protezione temporanea utilizzata nel caso degli ucraini arrivati nel nostro paese dopo lo scoppio della guerra. Un terzo elemento riguarda le politiche europee. Per chi è familiare con il Regolamento di Dublino III, che dice che lə migranti sono obbligatə a fare domanda di protezione internazionale nel primo paese di arrivo, sa che è un sistema ineguale che grava particolarmente sui paesi di confine.
La questione migratoria è un problema complesso, o meglio, un complesso di problemi – alcuni strumentalizzati, altri legittimi – che necessita di una risposta altrettanto articolata. Sono fortunatamente numerosi lə attivistə impegnatə nella salvaguardia dei diritti umani e nell’accoglienza, ma sono altrettante le persone che hanno atteggiamenti ostili e non-inclusivi. Agire in territori come la provincia italiana può essere un’esperienza solitaria e scoraggiante. Cosa dite a chi sente che il proprio attivismo viene puntualmente scoraggiato dalla realtà?
La provincia italiana è una realtà molto complessa, tanto difficile quanto chiusa, e ovviamente parlo per semplificazioni perché ognuna ha i suoi problemi e le sue criticità. Tuttavia, per cogliere il punto della domanda è chiaro come in una realtà di provincia è molto difficile promuovere dei valori come l’accoglienza, l’accettazione del diverso, l’inclusione. Non perché le persone che abitano in provincia sono più “cattive” di quelle che abitano in città ma semplicemente perché non sono abituate, avendo meno a che fare con questo tipo di “problematiche”. Quello che crediamo noi è innanzitutto che bisogna educare all’empatia soprattutto verso ciò che non si conosce, poiché è facile farlo con una situazione vicina per esperienza, ma è molto più difficile con qualcosa che non solo non conosci, ma neppure capisci. Ed è qui che ci piace pensare che subentriamo noi, con le altre associazioni presenti sul territorio, di cui alcune fanno un lavoro enorme da molti anni, per informare e sensibilizzare verso situazioni non sempre ben comprese. La realtà però è più difficile perché spesso l’ostilità è dietro l’angolo, sia, e soprattutto, per le persone in movimento che per chi, come noi, simpatizza e li sostiene. Bisogna dunque cercare di fare rete, perché quando si è insieme ad altri in una battaglia tutto sembra più semplice e meno oscuro. Le delusioni fanno parte del percorso, e chi intraprende questo in particolare sa che ce ne sono molte. Per non scoraggiarsi è fondamentale concentrarsi sulle piccole conquiste, riconoscendone costantemente il valore e l’importanza.
Trovate Europe Must Act – Ravenna su Instagram al profilo @europemustactravenna ed altre informazioni sono reperibili al link https://linktr.ee/RavennaMustAct Il movimento internazionale Europe Must Act è presente su tutti i social. Possiede un proprio sito web, dove potete leggere il manifesto: www.europemustact.org.