di Alfonso Martino
Sono anni ormai che la Disney è a corto di idee. A parte alcuni film d’animazione originali — e nemmeno di alto livello — come Encanto, la casa di Topolino sta attingendo al suo repertorio di classici riadattandoli in live action: da Cenerentola al Re Leone fino a arrivare a Pinocchio.
Zemeckis (Ritorno al Futuro, Roger Rabbit) dirige un film che continua il filone dei live action Disney identici alla controparte animata, senz’anima, pieni di CGI e di una ricerca della morale in una storia che già di suo dovrebbe essere moralizzante.
Una delle poche cose interessanti del film è la sequenza iniziale, in cui il regista riprende la celebre scena degli orologi a cucù in maniera creativa e viene mostrato Geppetto (Tom Hanks) in una fragilità insolita, il quale cerca in Pinocchio un figlio venuto a mancare insieme a Francesca, l’amore di una vita.
Purtroppo questo aspetto non verrà approfondito nell’ora e quaranta di film, venendo tagliato insieme ad altri eventi cardine della storia.
Il Gatto e la Volpe ad esempio sono presenti in una singola scena — la migliore insieme a quella iniziale — così come la criticata Fata Turchina di colore per dare spazio a un Pinocchio mai davvero in bilico tra il bene e il male, in scenari digitali brutti e che non ricordano minimamente l’Italia di Collodi. A differenza della controparte animata, il burattino è sempre in apprensione per il padre e sembra agire spinto dal caso, non per una sua volontà specifica.
La sequenza nel Paese dei Balocchi ne è la prova: se nel film d’animazione il burattino fuma, beve birra e gioca a biliardo con Lucignolo senza avere rimorsi, qui il nostro è innocente, non lega con Lucignolo, non assaggia la birra che tiene in mano e non si accenna minimamente al fumo, rovinando la celebre scena e annullando lo spirito della storia di Collodi.
Nel finale il regista modifica la storia del film animato, dando a Pinocchio un interesse amoroso e capacità quasi sovrannaturali (vedere la scena della balena per credere), riprendendo il pensiero Disney secondo cui ognuno è speciale e in grado di ottenere quello che vuole. Una morale in un’opera, quella di Collodi, che già di suo voleva moralizzare, riuscendo perfettamente nell’intento. Speriamo che l’adattamento di Guillermo del Toro e Netflix a Dicembre renda giustizia al burattino che vuole diventare un bambino vero.