di Alfonso Martino
In una delle serate degli Oscar più assurde di sempre, dove a far parlare di più è stato l’episodio di Will Smith e Chris Rock, noi ci concentriamo sul film con più nomination quest’anno e che è riuscito a portare a casa solamente il premio per la miglior regia: parliamo de Il Potere del Cane, western atipico diretto da Jane Campion con protagonisti Benedict Cumberbatch, Jesse Plemons e Kirsten Dunst.
Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Savage, in cui vediamo i fratelli Phil (Cumberbatch) e George Burbank (Plemons) impegnati nella gestione di un ranch, protagonista silenzioso ripreso dalla regista americana con inquadrature ampie, che mostrano la grandezza della tenuta e una certa misticità che affascina Phil.
George è un uomo inserito nella società, più legato alla vita di città e tende a mostrare i suoi sentimenti, mentre Phil è il prototipo del cowboy macho man che rigetta la delicatezza, come dimostra la sequenza del pranzo nel locale di Rose (Dunst), in cui Phil deride le opere floreali fatte dal figlio Peter (Smith-McPhee).
Il fragile equilibrio tra i due viene interrotto dall’arrivo al ranch di madre e figlio, che porteranno Phil a mostrare un lato di sé inedito.
Jane Campion utilizza una regia silenziosa, in cui i personaggi sono ripresi in momenti di intimità e hanno premura nel non farsi scoprire: questo accade nelle sequenze in cui George è in città e Jane si trova a dividere il ranch con Phil; la donna inizia così a bere, con la macchina da presa che fa notare la vergogna di Rose nel nascondere le prove con piccoli movimenti di camera. Il cowboy si accorgerà di ciò e sfrutterà la cosa per rubarle ciò che è più caro per lei: l’amore di suo figlio.
Il film gioca sulla sfida psicologica tra Phil e Rose, dove la seconda viene vista dal primo con odio poiché il cowboy non ha una persona amata nella sua vita.
La persona più vicina all’amore per Phil è il mentore Bronco Henry, di cui il cowboy mantiene vivo il ricordo in ogni sua azione e gesto.
L’affetto per Henry viene scoperto da Peter in una sequenza simile a quella di Rose descritta prima, dove Phil viene ripreso dalla regista in un momento di intimità.
Da qui il legame tra Peter e Phil si fa sempre più forte, con una sottotrama che potrebbe ricordare un Call Me by Your Name in salsa western, in cui il secondo diventa il mentore del primo, cercando di portare il giovane verso sentieri più virili.
Il finale spiazza lo spettatore, con una regia che evita i classici spiegoni e che preferisce far parlare le immagini piuttosto che i personaggi, tutti caratterizzati egregiamente a partire dal protagonista principale, un cowboy che ha più di qualcosa da nascondere e che proprio per questo risulta affascinante.