Intervista a Miriam Di Girolamo

Inseguendo quel filo, Miriam Di Girolamo

di Cecilia Buccioni

Ciao Miriam, vorrei iniziare l’intervista parlando del tuo interesse per l’arte e di come hai iniziato a lavorare come illustratrice, ti va di raccontarcelo?

Da che io ricordi, ho sempre avuto interesse per l’arte sin da bambina. Osservavo molto i miei fratelli maggiori disegnare ed era diventata per me una sfida raggiungere il loro livello di bravura, scoprendone così l’interesse. Ogni volta che aprivo un libro mi soffermavo su alcuni paragrafi ed era irrefrenabile la voglia di raccontarlo con un mio disegno. Così sono atterrata nel mondo dell’illustrazione un po’ per caso attraverso la Scuola Internazionale Comics di Pescara. Mi ero iscritta al fine di migliorarmi ho finito per innamorarmi di questo campo.

Attualmente stai svolgendo qualche progetto/collaborazione?

Per lo più lavoro per commissioni private, ma ho avviato diversi progetti personali nati da esigenze introspettive. Questo mi ha portato a ricercare e ad approfondire maggiormente altre forme di comunicazione artistica, avviando un percorso formativo di pedagogia teatrale e di formazione teatrale. Questo mi ha permesso di ampliare la mia visione sul reale e fantastico e di quante possibilità offrano, supportandosi e sconfinando vicendevolmente.

Nel portare avanti il tuo lavoro hai degli artisti o delle figure di riferimento (contemporanee e non) a cui ti ispiri maggiormente e perché?

Inevitabilmente non posso che citare Norman Rockwell che amava definirsi principalmente illustratore e poi tutto il resto. Mi ha sempre affascinata l’attenzione nel raccontare la vita quotidiana delle persone, eventi semplici che esprimono la molteplice interiorità umana, anche con ironia. Più contemporanei non saprei da chi cominciare tra Rebecca Dautremer, Monica Berengo, Gianni Pacinotti, Giulia Pintus, Shaun Tan, sono artisti che nei loro segni racchiudono una nota di nostalgia sognatrice ed è sempre un piacere immergersi in quelle atmosfere tanto fantastiche quanto reali, che continuano a pervadermi anche tempo dopo chiuso un libro, rimandando a quell’introspezione di cui, ahimè, non riesco a fare a meno. Vi è anche Paolo Nani (attore teatrale) a cui faccio molto riferimento. Nel suo lavoro c’è una profonda conoscenza del sé, conducendo in un immaginario infinito, comico e profondo, partendo da piccoli dettagli molto semplici, come nel suo spettacolo La Lettera.

C’è una tendenza comune nel credere che sia difficile guadagnarsi da vivere lavorando come artista. Sei d’accordo?

Sicuramente non è semplice farsi strada partendo da un’ottica in cui un posto fisso è una garanzia migliore. Ore prestabilite, paga assicurata, ma sono del parere che sta all’esigenza di ognuno capire quale sia la modalità di cui si ha bisogno. Io lavoro part time in tutt’altro campo e mi dedico all’arte in ogni momento, anche mentre sposto cartelle in ufficio e accade qualcosa che appunto sul primo pezzo di carta. Mi capita spesso di far nascere così nuovi progetti. A volte ammetto che è stato scoraggiante rimboccarsi le maniche e vedere che il tuo lavoro non viene neanche considerato perché non hai riconoscimenti precedenti. Far parte di questo campo richiede una grande forza di volontà e credere nelle proprie possibilità, una frase stradetta che ho detestato per la sua retorica, ma ho potuto sperimentare come l’esigenza di espressione in questo superi ogni (auto) sabotaggio.

Il tuo passo, 2020

Cosa vuoi comunicare attraverso le tue opere?

Non parto mai da una progettazione precisa, anche perché finisce sempre che fluisce tutto nella sua realizzazione. raro che l’idea iniziale rispecchi il risultato finale. Così il messaggio stesso muta anche per me. Mi piace accostarvi testi personali e mi sorprende sempre vedere come diventino soggettivi per ognuno. Ciò di cui mi preoccupo è che abbiano una risonanza. Che vadano a colpire e smuovere il mondo interiore di ognuno. lì che poi avviene la parte che preferisco del mio lavoro.

Qual è l’opera o il progetto realizzato finora a cui ti senti più legata e perchè?

Spesso l’opera a cui sono più legata è anche quella che in un certo senso fa più male. Questo è stato uno di quei rari casi in cui il progetto iniziale non è
mutato. L’opera in questione è “Io come Te”, da cui è scaturito un breve testo. Nata in seguito ad un anno di duro lavoro su me stessa, un periodo buio in cui disegnare era diventata una sorta di tortura. Vi sono molto legata perché ha rappresentato un punto di rinascita, di lotta e gratitudine per chi ho incontrato, con profonde consapevolezze. Questo mi fa pensare
a un articolo che ho letto poco tempo fa di Davide Calì, in cui ha scritto “Il libro sarà forse il risultato finale, ma non il mezzo, con cui allontanarsi da certi ricordi”.

Io come te, 2021

L’opera scelta per la copertina di questo numero, Astrazione, come nasce?

Astrazione è nata per caso. Stavo scarabocchiando il mio ipad e mi colpì una strofa di Gaber che Spotify suggeriva in quel momento “un’idea, un concetto, un’idea, finché resta un’idea è soltanto un’astrazione”.
Credo sia stato l’antipodo della mia necessità di toccare con mano aspetti e concetti che nel quotidiano interiorizziamo. Quella necessità che richiede di portarli alla concretezza per fare poi “la mia rivoluzione”, come prosegue il testo del brano.

Se dovessi scegliere di incontrare e avere una conversazione con un artista defunto del passato, chi sceglieresti e perché?

Amo follemente il periodo dell’Art Nouveau e resterei ore a scrutare movimenti e riflessioni di Gustav Klimt e Alfons Mucha finché, esausti, non mi rispedirebbero nel mio mondo. Stili che nascono da una propria
visione di bellezza umana
e come questa influenzi lo stesso artista nella propria percezione. Sicuramente con Klimt che pone dei dubbi sulla propria arte con l’avvento dell’Impressionismo, mi siederei volentieri
a tavolino. Potremmo dire che Klimt è uno di noi.

Hai un obiettivo professionale da raggiungere in futuro? Quale?

Ho diversi obiettivi, ma tendo a non spingermi più in là di quanto non possa concretizzare nel presente. Tra questi c’è la realizzazione di un progetto sociale a livello artistico terapeutico. L’introspezione con un approccio più astratto, permette di giungere a un appiglio più concreto, come riportavo poco fa per “Astrazione”, nel suo paradosso di compensazione. L’arte ha questa capacità di mutarsi e mettersi al servizio
dei bisogni delle persone, non restando solo un concetto astratto, fornendo un linguaggio nuovo per spiegare aspetti che richiedono tempi e forme
diverse per ognuno. A riguardo sto progettando una raccolta di storie che raccontano il processo di comprensione della mia realtà di quel periodo “buio”, che spero di pubblicare, compensate parallelamente da un altro progetto di vignette più umoristico, in cui ironizzo e smonto ogni mia forma di ricerca introspettiva con cinica realtà. La mia arte è caratterizzata da questa dualità espressiva che si contrappone continuamente.
Per rifarmi ad una famosa citazione, non sono cattiva, è che disegno così.