di Alfonso Martino
Tra i molti candidati ai prossimi Oscar ci sarà un po’ di Italia grazie a Paolo Sorrentino, che con il suo È stata la mano di Dio proverà a ottenere la sua seconda statuetta per il Miglior Film Internazionale, dopo quello per La Grande Bellezza.
Il film, prodotto da Netflix, si potrà vedere in sala fino al 15 dicembre, giorno in cui approderà anche sulla piattaforma streaming, la quale continua il suo percorso di autorialità affiancandosi a registi di un certo valore (tra questi citiamo Cuaron e Scorsese).
La pellicola del regista napoletano è un’esperienza che va vissuta al cinema per essere goduta a pieno, per apprezzare una regia sempre molto ricercata ed elegante che per alcuni è passata in secondo piano, dal momento che l’autore mette in scena una vicenda autobiografica: quella di Fabietto Schisa, adolescente napoletano benestante che si ritroverà di colpo a dover ragionare sul suo futuro, sull’età adulta per cause di forza maggiori, con la città di Napoli e la figura di Maradona a fare da sfondo, comparse silenziose ma sempre presenti nella vita del protagonista.
Durante la visione, lo spettatore può distinguere due blocchi: il primo, in cui Sorrentino riprende la commedia italiana di Fellini – qui presente in un cameo che non sveleremo – e il secondo, in cui il film assume un altro registro e diventa cupo, coincidendo con le scelte che dovrà compiere Fabietto per diventare un uomo.
Il protagonista è un ragazzo solo e introverso, come dimostrano le sequenze all’interno del cortile della scuola, in cui Fabietto sembra un individuo estraneo intorno all’enorme massa di suoi coetanei intorno a lui; inoltre viene sempre con delle cuffie da cui lo spettatore non riesce a sentire nessun tipo di musica e che fa capire quanto il giovane sia perso nel suo mondo.
D’altro canto, Fabietto non ha alcuna difficoltà con gli adulti, come ad esempio Capuano, regista campano con cui il protagonista diventa ufficialmente un adulto. La macchina da presa segue in maniera furtiva i due in una Napoli notturna e spettrale, in una sequenza che inizia nel buio, prosegue tra alcune rovine e si chiude in uno scorcio suggestivo della città all’alba, in cui lo scambio raggiunge il suo apice.
La consapevolezza dell’età adulta porta il giovane ad allontanarsi da Napoli e a cercare fortuna a Roma. In questo modo, Sorrentino fa confrontare Fabietto con tutte le persone care, come ad esempio sua zia Patrizia, personaggio sensuale e problematico, considerata dal protagonista come la sua musa, e con il fratello, in una sequenza in cui i due discutono della diversa visione dell’età adulta in un paesaggio in cui cielo e mare si mischiano.
Il film è pieno di simbolismi e non sarebbe giusto elencarli tutti, spiegandoli nel dettaglio: possiamo dire però che nel finale, nella sequenza in cui Fabietto viaggia sul treno che lo porterà nella capitale, avrà a che fare con il monachello, una figura presente a inizio film e che viene associata alla buona sorte. Non riveleremo ciò che fa per non rovinare la sorpresa a chi vedrà il film.