di Alfonso Martino
Sono passati diversi anni da Lo Chiamavano Jeeg Robot ma la pellicola d’esordio di Gabriele Mainetti è stata una delle più apprezzate, grazie a un linguaggio contemporaneo che strizzava l’occhio al cinema americano, mantenendo allo stesso tempo una sua italianità.
Freaks Out continua questo percorso, rendendo protagonisti quattro circensi particolari – dei freaks appunto – in una Roma dominata dai nazisti, alla ricerca del loro mentore e di loro stessi.
Come in Jeeg Robot, i personaggi sono ben caratterizzati e ognuno ha un arco narrativo consono al suo ruolo; anche in questo caso il villain gode di un’ottima scrittura, regalando allo spettatore un personaggio dalle molte sfaccettature: un generale nazista con sei dita che riesce a vedere il futuro e che vuole servire la sua patria, ma considerato un reietto per queste sue particolarità.
Mainetti è abile nell’inserire all’interno del film diverse citazioni, come quelle legate ai western (inseguimento al treno) o all’inquadratura che vede partecipi il villain e la sua compagna, che rimanda ad una specifica scena di Shutter Island di Scorsese (non spoileriamo per non rovinare la sorpresa).
Il film può avere dei punti in comune con Bastardi senza Gloria di Tarantino, dal momento che entrambi i registi reinventano lo stesso periodo storico inserendo elementi fantastici.
Da un punto di vista tecnico, Mainetti utilizza per tutta la pellicola dei colori freddi nelle sequenze diurne, che accentuano ancor di più il momento storico e il dominio nazista, contrastato dalle forze partigiane in sequenze che rimandano ai war movie più celebri, in cui lo spettatore comprende chiaramente gli eventi in scena e lo svolgimento dell’azione.
La sequenza finale è l’unica cosa che si potrebbe criticare al regista, dal momento che è eccessivamente lunga e finisce col perdere per strada quel buono che si era visto nelle precedenti sequenza di guerra, aumentando in maniera esponenziale colpi ed esplosioni e disorientando lo spettatore.
Ciò che rimane di questo film è una pellicola interessante, capace di intrattenere e riflettere e che porta avanti la visione del cinema di Mainetti.