di Alfonso Martino
Il biopic è un genere difficile da affrontare, dal momento che il protagonista della vicenda è un personaggio realmente esistito e che tende spesso a essere mitizzato, tralasciando i lati negativi della sua personalità ed evitando così una visione a 360 gradi.
Fortunatamente, questo non è il caso di Qui Rido Io, film di Mario Martone (Il Giovane Favoloso) che racconta il periodo di massima ascesa di Eduardo Scarpetta nella Napoli di inizio ‘900, interpretato da Toni Servillo. Il comico, attore e autore delle sue commedie, dovrà fronteggiare l’avvento del cinema e una causa con Gabriele d’Annunzio, di cui ha parodiato la tragedia La Figlia di Iorio, scatenando un conflitto all’interno della stessa scena artistica napoletana, che vedeva in Scarpetta il male assoluto.
Martone dà allo spettatore un quadro onesto dell’attore: un gran professionista sul palco, sempre pronto nello strappare un applauso e un sorriso al suo pubblico, ma allo stesso tempo attento a mantenere il suo status di figura principale del teatro napoletano all’interno della sua modern family, la quale comprendeva numerosi figli illegittimi, tra cui Peppino e Eduardo de Filippo, qui rappresentati come bambini ma già sicuri dei loro obiettivi e della volontà di ottenere il successo di quel genitore – da loro sempre chiamato zio – con il loro cognome, non con quello di Scarpetta.
Toni Servillo rende benissimo la teatralità insita nel comico anche nella vita privata nelle sequenze in cui Eduardo fa la spola da una famiglia all’altra, dove il suo arrivo si può paragonare a quello di un attore che passa dal backstage al palco e che tratta la sua famiglia come un’enorme compagnia teatrale, avviando a questo mestiere anche i suoi figli e nipoti.
Uno dei temi principali della pellicola è il tempo: Eduardo non ne accetta lo scorrere e non comprende la proposta di rinnovamento proposta dal figlio Vincenzo (Eduardo Scarpetta, discendente della famiglia Scarpetta che ha già lavorato con Martone in Capri-Revolution), che si ritrova a essere costantemente la sua ombra; esempio di ciò è la sequenza in cui viene chiesto a Vincenzo di interpretare il ruolo storico di Eduardo per rimediare al flop della satira d’annunziana di cui è protagonista. Un momento prima del suo ingresso in scena, con i panni del personaggio addosso, viene scacciato malamente dal padre, che fa il suo ingresso con la posa tanto cara al pubblico, prendendosi tutti gli applausi. Martone enfatizza l’adrenalina di Eduardo attraverso un primo piano su Servillo, in cui mostra il compiacimento nell’aver ripreso il suo pubblico, mascherando allo stesso tempo la delusione per il fallimento della sua satira.
Proprio la satira è l’altro argomento principale: il regista dà grande importanza all’incontro tra Scarpetta e D’Annunzio, mostrando l’interno della villa del poeta abruzzese, la quale esprime un senso di claustrofobia e inquietudine, caratterizzata da colori cupi come il nero e il rosso e abitata da prostitute. L’esatto opposto della reggia del comico napoletano, ampia e piena di luce, costruita con gli sforzi del suo lavoro, simboleggiato dallo stanzino pieno di scope, le quali dovevano essere sempre nuove per non creare sporco. Durante la scena, Scarpetta chiede più volte il permesso scritto a D’Annunzio per lavorare serenamente alla sua parodia, ottenendo solamente un accordo verbale e una sensazione di straniamento.
Il mancato accordo porterà a una causa in tribunale, in cui a supporto di D’Annunzio arriveranno autori “della nuova scuola”, tra cui Salvatore di Giacomo che, come fatto in precedenza da Scarpetta con Pulcinella, volevano rifondare il teatro, ritenendo superato il modo di fare del comico e portando in scena tematiche importanti con registro drammatico.
Nel finale, la componente legal drama raggiunge il suo apice, con l’attore che esalta la folla e la giuria durante la sua difesa come se fosse sul palcoscenico, approfittando anche dell’assenza di D’Annunzio, che ha lasciato da soli quegli autori che tanto apprezzavano la sua figura e che vedevano nel suo lavoro un’ancora di salvezza, costretti ad assistere a un verdetto che cambierà la storia dello spettacolo italiano, che vedrà finalmente riconosciuto il diritto di satira.