35 millimetri

La più grande opera della cultura pop americana

di Enrico Molle

Il 10 giugno 2007 andava in onda l’ultima iconica e discussa puntata de I Soprano (The Sopranos in lingua originale), serie TV tra le più apprezzate da pubblico e critica, tanto da essere definita dal New York Times “la più grande opera della cultura pop americana dell’ultimo quarto di secolo”.
Questa dichiarazione, a distanza di quattordici anni, è ancora attuale e oggi si può avere ragione di credere che I Soprano siano la più grande opera della cultura pop americana degli ultimi quaranta o cinquant’anni. Lo conferma la tendenza delle nuove generazioni, ragazzi e ragazze che non erano ancora nati quando nel lontano 1999 andava in onda la prima puntata de I Soprano, a riscoprire l’opera che oggi viene considerata la capostipite dell’era delle serie TV.
Nell’ultimo decennio le serie televisive hanno raggiunto l’apice del loro successo grazie soprattutto alle piattaforme di streaming che rendono accessibile a tutti una grande varietà di contenuti. In effetti, parlare di serie TV oggi è un po’ come parlare di calcio o di politica, quasi tutti ne sanno un po’, la maggior parte delle persone ha visto quelle più iconiche e, prima o poi, anche chi ne è rimasto fuori cade nel fenomeno del binge watching [1].
Purtroppo, se da un lato il grande successo di alcune saghe ha portato a un grosso miglioramento generale nella realizzazione delle serie, dall’altro ha generato prodotti dozzinali, ideati per il solo intrattenimento, con ben poco di originale. Ciò potrebbe bastare per spiegare in qualche modo la tendenza che porta una parte di pubblico a riscoprire alcune serie datate, ma nel caso de I Soprano ciò non è sufficiente: il successo riscontrato in un’epoca così lontana da colossi della serialità come Netflix e Amazon Prime Video e quello che ancora oggi ancora viene riconosciuto all’opera ideata da David Chase è dovuto al fatto che siamo di fronte a un capolavoro senza tempo.

Della saga incentrata su Tony Soprano e la sua famiglia si è detto e si continua a dire di come abbia cambiato per sempre le regole della TV e ciò, effettivamente, è innegabile, poiché molti elementi narrativi della serie sono oggi presenti e facilmente riconoscibili in molte produzioni di grande successo. Ma in che modo I Soprano hanno cambiato la televisione, facendo da tramite verso quella che potremmo definire la “Golden Age” delle serie TV?
Innanzitutto c’è da sottolineare che l’intera opera, pur raccontando la storia di una famiglia mafiosa italoamericana del New Jersey, in verità ci mostra l’evoluzione di un gran numero di personaggi intrecciando un notevole numero di trame, sottotrame, simbologie e parallelismi. Ovviamente la figura più ingombrante, quasi golemica, su cui si regge l’intero show, è quella del capo famiglia Tony Soprano, interpretato dall’immenso e compianto James Gandolfini. Tony è uno dei più arroganti personaggi, se non il più arrogante, mai visti in una serie televisiva, è un bugiardo e mente in continuazione a tutti non riuscendo mai a essere sincero con nessuno, ma soprattutto non riuscendo a essere sincero con se stesso.
D’altronde la storia si apre con Tony che ha un attacco di panico e si riscopre depresso senza riuscire a capirne il perché, motivo per cui decide di recarsi da uno psicologo, la Dottoressa Jennifer Melfi (Lorraine Bracco). Durante le varie sedute il protagonista lamenterà un certo malessere per la lenta sparizione dello stereotipo di uomo «forte e silenzioso», alla Gary Cooper, simbolo di virilità che faceva quello che doveva essere fatto senza farsi traviare dai propri sentimenti, modello alla quale lui stesso ambisce, rendendosi però conto di non riuscire a raggiungere. Si evince così la natura della sua tristezza, legata alla sfuggente realtà di un tempo andato e di alcuni valori ormai scomparsi, rendendo di colpo il suo malessere personale un malessere universale.
Senza questo elemento la serie sarebbe stata solo un altro prodotto che ci avrebbe introdotto nel mondo della malavita italoamericana, magari poco innovativo, e non sarebbero state di certo necessarie sei stagioni per mostrarcelo. Al contrario la terapia che Tony affronta ci mette di fronte all’uomo che, ancora prima del mafioso, conduce una vita infelice e, a tal proposito, la figura della Dottoressa Melfi è fondamentale: è lei l’obiettivo che riprende l’intera scena, è lei che ci introduce all’interno di un mondo contorto e che senza la sua prospettiva non avrebbe senso di essere raccontato, considerati gli aspetti raccapriccianti e atroci che vi convivono. La cruciale importanza della terapia seguita da Tony sarà particolarmente chiara nelle puntate finali che, senza fare spoiler per i lettori che non hanno ancora avuto la fortuna di vedere la serie, ci faranno capire effettivamente cosa vuole trasmetterci l’intera opera.

Si può tranquillamente affermare che ciò che viene sottoposto alla nostra attenzione negli 86 episodi de I Soprano non è l’insieme delle discutibili norme morali e sociali di una famiglia mafiosa, ma la storia di un uomo che vorrebbe cambiare vita, ma Dio solo sa se ci riuscirà mai. Partendo da questo presupposto, emerge la grande attualità della narrazione della serie e del personaggio di Tony, senza il quale non ci sarebbero mai stati (e non si commette affatto un sacrilegio nell’ammetterlo) Walter White (Breaking Bad), Don Draper (Mad Men) o Dexter Morgan (Dexter) solo per citarne alcuni.
A tutto ciò va aggiunto il magistrale lavoro svolto da James Gandolfini nell’interpretare il suo personaggio, così come quello dell’intero cast, all’epoca perlopiù sconosciuto, ma pieno di talenti tra cui è doveroso citare Michael Imperioli (Christopher Moltisanti), Edie Falco (Carmela Soprano), Steven Van Zandt (Silvio Dante), Tony Sirico (Paulie Gualtieri), Steve Schirippa (Bobby Baccalieri) e John Ventimiglia (Artie Bucco).
La bravura degli attori ha contribuito fortemente al successo senza precedenti della serie, riuscendo a dar vita a personaggi pittoreschi, quasi teatrali, che però non perdono mai naturalezza grazie a una continua visione introspettiva che ci svela le loro conflittualità morali. A molti personaggi secondari viene data la stessa profondità data al personaggio di Tony e questo è stato determinante per segnare una rottura con l’intera produzione di telefilm fino a quel momento.

Il pubblico, che prima ricercava tutti questi aspetti nelle opere cinematografiche, con I Soprano ha visto nascere una mitologia televisiva che per la prima volta portava lo spettatore a chiedersi dove stesse andando la storia, cosa sarebbe potuto accadere ai personaggi, certificando il fatto che la serie avesse creato un universo a sé stante, una dimensione di realtà parallela credibile e verosimile a tutti gli effetti, non un prodotto destinato al puro intrattenimento.
Il microcosmo della serie sarebbe potuto andare avanti anche senza alcuni dei personaggi cardine ed effettivamente è quello che è successo perché il crimine non paga mai ed ecco che alcuni di loro sono stati fatti sparire o sono stati uccisi brutalmente, anticipando quel trend venutosi a creare anni dopo, basti pensare a Game of Thrones, che, partendo dall’eliminazione sistematica di alcuni caratteri principali, fa ripartire la narrazione da basi nuove.
Oggi, nell’era dello streaming digitale e delle serie TV che vengono fuori come funghi, tutto ciò appare normale, quasi scontato, ma solo vent’anni fa non lo era affatto.
Alle luce di quanto detto, il ritorno in auge de I Soprano non è poi così sorprendente poiché molti amanti di serie TV trovano naturale, quasi doveroso, scoprire le origini di tutto ciò che li appassiona.
Un altro aspetto fondamentale per la longevità della serie è il suo adattarsi perfettamente a un’analisi moderna anche nella varietà delle tematiche trattate che, se all’epoca della messa in onda dello show potevano sembrare d’avanguardia, oggi sono prettamente attuali. Nel corso delle puntate, infatti, vengono trattati molti argomenti come la crisi esistenziale, il sessismo, ma ancora il sentimento anticapitalista e il nichilismo climatico.
Inoltre la serie, lanciata nel 1999 e conclusa nel 2007, ha fatto da cronista anche a due dinamiche storico-sociali importantissime che si sono rivelate all’umanità proprio negli anni della sua messa in onda, ponendosi ancora una volta in anticipo sui tempi. In primis viene raccontato il conflitto tra la generazione dei cosiddetti millennials e quella precedente, rappresentato principalmente attraverso il rapporto, il più delle volte burrascoso, che Tony Soprano e la moglie hanno con i loro figli. Poi, sullo sfondo delle vicende della famiglia Soprano, soprattutto nelle stagioni finali, è presente l’onta del terrorismo islamico e qui va riconosciuta tutta la bravura di David Chase, non solo nella scelta di non rimanere indifferente a un argomento così delicato per l’America di quegli anni, ma anche in quella di introdurlo in corso d’opera proprio poiché l’evento più drammatico riconducibile a quella forma di terrorismo, ovvero gli attentati dell’11 settembre 2001, si verificò mentre lo show aveva da poco trasmesso la terza stagione.
In definitiva, pur di ripetere un cliché, è chiaro che c’è un “prima” e un “dopo” nella storia delle serie TV e in questo I Soprano fanno senza dubbio da spartiacque, ponendosi come uno dei migliori prodotti televisivi in assoluto, apprezzato ancora oggi in tutto il mondo.
Per di più, questa sorta di rinnovata popolarità de I Soprano arriva in un momento propizio, ovvero a ridosso del film prequel della serie, The Many Saints of Newark, la cui uscita era prevista a settembre dello scorso anno per essere poi rimandata a ottobre 2021(in Italia l’arrivo della pellicola è invece fissato a novembre) a causa della pandemia da COVID-19. Il film riprende le trame degli scontri tra la comunità italoamericana e quella afroamericana verificatosi durante le rivolte di Newark nel 1967, per raccontare l’adolescenza di Tony Soprano, questa volta interpretato dal figlio del grande James, Michael Gandolfini.


[1] Termine che indica la visione di diversi episodi consecutivamente.