Penteo viene squartato dalle baccanti, Casa dei Vettii, Pompei
di Mara Torricelli
“Ma la curiositas circolava nel suo corpo, divenutane linfa e sangue. Il bisogno incoercibile di spingersi oltre, possedere il segreto del mondo. Penetrare il mistero, disvelarlo, elevare sé stesso sulla natura delle cose…”1 È già in Omero, che Ulisse appare poluthropos, cioè dalla mente colorata, attivo, furbo, curioso. Fu la sua curiositas, in senso moderno, la capacità di scrutare il non visibile all’apparenza, che lo fece protagonista della scoperta di Achille, che si era nascosto tra fanciulle, lui stesso così vestito, nell’isola di Schiro, per fuggire ad una guerra che non sentiva sua.
Ulisse “il curioso”.
Una curiositas fondamentale per conoscere, ma quasi sempre accompagnata dall’ombra del male. Ne è un esempio il povero Penteo2, re di Tebe, che si rifiuta, in nome della razionalità, di riconoscere la natura divina di Dionisio. E così cede alla spinta irrazionale della curiosità ed assiste, travestito da donna, alle sregolatezze delle baccanti (che, come è noto, quando lo scoprono finiranno per sbranarlo).
È un mondo antico complesso, ancora in bilico sul filo, fra il vento del progresso e l’opposto della religione o dei principi.
In questo mondo antico, la curiositas non è né dea né semidea: nell’ottica del Mos maiorum, a Roma, la curiositas è negativa, è sinonimo di pigrizia, di oziosità: chi ha ideali, chi ha compiti da portare in fondo, non ha tempo di lasciarsi andare alla curiositas. Oggi, in modo più sbrigativo, diremmo che i pettegolezzi sono propri di chi non ha altro di meglio da fare che guardare cosa fanno gli altri.
Perennemente in bilico fra acutezza dello sguardo e dell’indagine, la parola “curiositas” ha fatto il suo percorso assecondando la storia.
In Ovidio la curiositas è più sensibilmente penetrata di passione, anche se accostata al concetto negativo di infrangere le regole (un po’come scartare un regalo sotto l’albero di notte, la vigilia di Natale). Psiche è una delle tante donne della mitologia che diventano vittime, punite per non aver fatto niente. Cos’altro deve imparare dalla vita, Psiche, che non è invidiosa, ma subisce l’invidia delle sorelle, altre donne?
Eppure viene punita, come spesso accade alle donne, per essere troppo belle o per essere al centro dell’attenzione (o non esserlo), o per troppo amore . Leggermente meno vivido di pathos è il Lucio, di Apuleio in cui, per circostanze simili, la curiositas è stato un elemento conoscitivo e di crescita: con essa egli chiude il percorso delle sue avventure con il riconoscimento dei propri errori; l’esperienza degli eccessi e degli orrori umani.
Antico mondo latino, dove il Mos maiorum vigeva da motore portante, e dove perdita di tempo erano i sentimenti (pensiamo alla condanna di Catullo, a cui si attribuiva l’esortazione all’otium, e a un sentimento del tutto inutile, oltre che deleterio, capace di allontanare il più buono soldato romano dalla sua Fides: l’amore, l’otium litterarium , lo studio, la letteratura!
Pensiamo quanto sono state osteggiate le filosofie greche, poi, per fortuna, divenute imperanti, pensiamo al difficile cammino dell’humanitas3, portata avanti dal Circolo degli Scipioni e mai più uscita, dalle corde dei letterati romani!
Anche dopo Augusto, in un momento in cui il mondo sembrava esser crollato sotto la follia di Nerone, però, uno dei primi scienziati, Plinio il Vecchio, ha perso la vita, per la sua curiositas. Il nipote, Plinio il giovane ci parla del viaggio in mare, e dell’eruzione del Vesuvio. Plinio, il primo scienziato ufficiale, “si è recato lì, ad aiutare e ad osservare i vapori, spinto dalla sua curiositas. E quella curiositas probabilmente che lo ha fatto soccombere, ma questo ci ha insegnato fin dove è possibile che l’uomo si spinga per non sentirsi nudo di fronte alla natura, piccolo e indifeso”4.
E poi passano gli anni e con il cristianesimo, la curiositas più nettamente si divide in due: da una parte, essa diviene simbolo di piacere fisico a cui non lasciarsi andare…l’indagine, la ricerca, l’appagamento dei desideri, rientrano nei piaceri da soddisfare. “La curiosità, se non saggiamente frenata, basta di per sé sola a spiegare ogni fatta di errori.”5 Eppure, accanto ad essa, sopravvive anche la curiositas positiva: “L’obiettivo non è di raccogliere informazioni o saziare la nostra curiosità, ma di prendere dolorosa coscienza, osare trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo, e così riconoscere qual è il contributo che ciascuno può portare”6. Di questo aspetto di curiositas che cambia e si evolve con i tempi e la storia, è testimone Dante Alighieri. Lui stesso curioso, sempre, quando si affaccia da una roccia, quando osserva la volta oscura o celeste. Sempre, in tutte le domande, continue che rivolge a Virgilio. Dante ha una missione, d’altronde, di cui si stupisce (perché proprio io? Chiede nel II canto dell’Inferno).
Quindi deve sapere, deve conoscere, deve capire bene per riportare…e nonostante questo il suo riportare al mondo per avvertirci di quello che potremmo trovare è comunque doloroso: molto spesso gli mancano le parole per raccontare ciò che vede. La sua curiositas è legittimata dal compito che Dio, gli ha dato (vuolsi così colà dove si vuole ciò che si puote….7) Lo aiuta la curiositas, che egli amalgama con le esperienze passate e a cui dà nuova forma: la curiositas è tipica dell’uomo che con essa si differenzia dai bruti, ma non deve superare i limiti posti da Dio (fatti non foste a vivere come bruti ma per seguir virtute e conoscenza; Inferno, canto XXVI, Canto di Ulisse).
“Gigante, è colui che sa. Si alzò a fatica dal sedile di pietra Ulisse. Una profonda tristezza gli stava aggrovigliata dentro: era il suo nuovo nemico, forse l’ultimo aspetto assunto dal suo antico persecutore, Posèidon. Aveva preso, ora, il volto di Cronos. Il Tempo, che aveva scavato il suo viso, indebolito i muscoli, corroso le sue ossa. Ma non riusciva a spegnere la luce del suo sguardo. Azzurri, come il mare che aveva un tempo sfidato, i suoi occhi puntavano ancora, fermi e limpidi, sull’Oltre”8 Conosce questa sfida Ulisse, come conosce le sirene, gli incanti delle maghe, gli inganni da evitare. Che progressione umana ci sarebbe senza il mettersi alla prova, lo sperimentare, il vedere-come-è-fatto? E quali sono i limiti? E quanti?
Domande a cui l’uomo non sa rispondere.
A meno che non si prenda come esempio la bellissima e triste Favola dei suoni, di Galileo Galilei. La favola, o meglio, l’apologo, racconta le avventure di un uomo curioso (che rappresenta lo scienziato) che cerca di spiegarsi l’origine dei suoni, indagando secondi i procedimenti della scienza moderna, meglio note come “fasi”. “L’uomo nel racconto è descritto come “dotato d’uno ingegno perspicacissimo e d’una curiosità straordinaria”, caratteristiche che in generale sono presenti in qualsiasi persona; risulta quindi molto facile immedesimarsi”9 in lui.
Dunque, l’uomo-scienziato, sente, un giorno, un suono, e si chiede da dove provenga; spinto dall’ardore di conoscenza incomincia a raccogliere delle osservazioni relative al fenomeno percepito: canti degli uccelli, note che escono da un flauto artigianale, lo stridere dei battenti di una porta, le note da un bicchiere accarezzato da dita sull’orlo.
Da un suono all’altro, l’uomo si accorge che i suoni…sono infiniti. Sembra arrivare ad una prima ipotesi: che i suoni sono prodotti attraverso l’aria. Ma quando cerca di verificarlo più a fondo e ancora più a fondo, finisce per uccidere una creatura senza arrivare a capire da dove provenga davvero il suo suono.
L’uomo scienziato spinto dalla curiositas, e dalla voglia di sperimentare, finisce poi , per approdare ad una soluzione amara : “arrivò a dubitare del suo sapere tanto che a chi gli chiedeva come si generassero i suoni rispondeva di conoscere alcuni modi e di essere consapevole che ne esistessero centinaia di altri sconosciuti e inimmaginabili.”10
I limiti della scienza, il sapere che fa capire di non sapere, lo spingersi sempre oltre, i limiti che dovrebbe-o-non dovrebbe porsi la scienza, rimangano attuali, anche oggi, ormai così avanti nel tempo che sembriamo spinti da una forza in avanti infinita.
Eppure il singolo termine, curiositas, non ha finito per trovare un suo posto. Rimane lì, nel doppio senso, fra l’altalena del negativo (“ma come sei curioso”, “sei troppo curioso”…espressione da gossip male-inteso dei balconi o dei bisbiglìi delle comari11) e il positivo (“è molto curioso intellettualmente”, con la mente curiosa che ha…”).
Forse, per concludere, potremmo prendere la frase di Harry Potter : “La curiosità non è peccato, Harry, ma dovresti esercitare cautela”12
1 Ulisse e l’ultima Sirena: la curiositas che spinge oltre i limiti …https://24live.it
2 Da Le Baccanti, Euripide
3 Terenzio, Heautontimeroùmenos: “Homo sum, humani nihil, a me alienum puto”
4 https://www.frammentirivista.it/plinio-il-vecchio-conoscenza-vita
5 https://it.glosbe.com/la/it/curiositas
6 https://it.glosbe.com/la/it/curiositas
7 Inferno, III canto
8 Vd nota 1
9 https://www.lacultur.com/analisi-e-commento-la-favola-dei-suoni/
10 La favola dei Suoni, da Il Saggiatore, G. Galilei
11 Bella, a questo proposito, la riflessione di A. Dumas padre, da I Tre moschettieri: ““I curiosi bevono le nostre lacrime, come le mosche succhiano il sangue di un daino ferito.”
12 Dal film “Harry Potter e Il calice di fuoco”