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di Lorenzo Olivieri
Immaginate un giorno, una domenica mattina, di aprire Youtube per vedere gli highlights dell’ultima partita degli europei e trovate Matteo Messina Denaro che irriconoscibile dopo 30 anni di latitanza, vuota il sacco su decenni di traffici illeciti, trattative stato-mafia, corruzione a tutti i livelli e insabbiamenti da parte della polizia. Rimanete ipnotizzati da quello che è forse il più pericoloso latitante italiano, mentre smonta dall’interno quella “mafia di stato” che sembra non più distinta dallo stato Italiano. Matteo Messina Denaro confessa i nomi di deputati e ministri con cui ha avuto contatti e poi rivela i mandanti di tutte le stragi italiane rimaste finora insolute. Con le mani che vi tremano, inviate il video a tutti i vostri amici, rimanendo a fissare il volto una tempo anonimo del boss mafioso, ora star di Youtube.
Quello che sembra come l’inizio di un racconto di fantascienza è quanto hanno vissuto i cittadini turchi quando Sedat Peker, boss mafioso e terrorista turco, una domenica mattina di maggio ha deciso che era ora di lavare i panni sporchi fuori casa. Da allora, Erdogan non ha più dormito di notte tranquillo e non per l’ondata di caldo che ha colpito questo lato d’Europa.
Il 7 giugno 2021 lasciavo dietro di me un’Atene intasata dal traffico per lo sciopero dei portuali e dei tassisti contro le riforme economiche del governo che manifestavano al Pireo. Le strade macchiate di bandiere rosse del KKE si facevano sempre più piccole mentre le guardavo allontanarsi dall’aliscafo macchiato di ruggine che mi portava a dimenticare la civiltà per la quiete di un’isola. Non c’era quasi nessuno, così mi siedo nella sala fumatori -per qualche motivo sempre la migliore per la vista- nonostante le esalazioni mefitiche delle due turiste cotonate che parlano in francese dietro di me, senza cui sarei completamente da solo sul ponte. Una delle due legge la pagina dei fumetti dell’edizione americana dell’Ekathimerini, tenendo il quotidiano aperto a metà e così mostrandomi la prima pagina, su cui campeggia la foto di un uomo sorridente, il gilet lucido da cantante di taverna e il taglio dei capelli militare, seduto dietro una scrivania con il libro “Il Padrino” di Mario Puzo bene in mostra e una lavagna alle spalle piena di dati e numeri.
Sopra la foto, il titolo “Boss della mafia turca diventa fenomeno su YouTube” mi conferma che non si tratta di uno qualunque. Mi dimentico della vista sul mare Egeo e inizio ad avvicinarmi per leggere l’articolo, fino a quasi sedermi al tavolo delle due turiste. Sedat Peker, dice una nota sotto la foto, inizia la propria carriera su YouTube soltanto da maggio 2021,quando condivide il primo di una serie di video sul suo canale “Reis Sedat Peker” e da allora ogni domenica milioni di famiglie turche si riuniscono per l’aggiornamento settimanale dell’ex boss mafioso. Peker non è un criminale qualunque: ha iniziato la sua scalata nel mondo del crimine negli anni ’90 e negli anni è stato coinvolto in ogni tipo di attività illegale: dal traffico di armi vendute a gruppi islamisti fino al controllo di uno dei cartelli di droga più redditizi al mondo: quello dell’eroina tra Afghanistan ed Europa, mentre nel tempo libero intratteneva frequenti e regolari rapporti con il governo turco e il circolo di fedelissimi di Tayyip Recep Erdogan.
Sedat Peker nei video dice un sacco di cose interessanti e presto raggiunge un pubblico di quasi 18 milioni di visualizzazioni. Sono quasi alla fine dell’articolo, ma mi accorgo che le due turiste a cui sto scroccando il giornale mi stanno fulminando così torno a sedermi sulla mia sedia macchiata di ruggine e salsedine, anche se non riesco più a smettere di pensare a Peker. Cerco i suoi video su YouTube, ma non sono sottotitolati e non capisco il turco, così chiedo a Nuran, che è turca e vive ad Atene di tradurmeli per me. Ormai non penso più alla mia destinazione e penso già di tornare sulla terraferma per sapere di più su Peker.
“Tutti in Turchia conoscono chi è Sedat Peker.”, mi dice quando ci vediamo tra le rovine illuminate dell’Acropoli. Peker nei video è fiume in piena: tra gli stralci della sua biografia criminale in un turco da strada pieno di figure retoriche e citazioni letterarie, fa nomi, racconta di incontri con i membri dell’establishment turco e il partito Giustizie e Progresso (AKP) di Erdogan e li accusa di stupri, traffici di droghe e omicidi. Soprattutto accusa di ogni tipo di corruzione Suyleman Soylu, ministro degli interni e braccio destro di Tayyip, che finora ha negato ogni critica, equiparando in una trasmissione TV chi guarda i video di Peker a chi guarda pornografia e definendo gli attacchi “un’operazione di potenze straniere”. Sostiene anche che Erkan Yilidirm, figlio dell’ex Primo Ministro, sia andato in Venezuela all’inizio della pandemia per mettere in piedi una rete di contrabbando di stupefacenti, cosa che Erkan ha prontamente negato, dicendo che era a Caracas per la distribuzione di kit per il test del Coronavirus. Non solo, Peker conferma quello che era già stato ipotizzato da diverse indagini ma mai provato, che il presidente Turco abbia sostenuto i terroristi in Siria con l’invio di armi, truppe e denaro.
L’Aylaç è il bar dove si riuniscono i turchi che vivono ad Atene e qui, Erdogan non piace a nessuno. La maggior parte della clientela, che è sotto i trent’anni, ha visto la Turchia sempre guidata dal partito AKP, che già alle prese con una profonda crisi economica, è uscito ancora più traballante dopo i video di Peker. Sedat si indirizza particolarmente ai giovani e ne vedo le conferme: la maggior parte dei turchi a cui chiedo tra un bicchiere di raki e l’altro, mi dice di credere fermamente alle accuse dell’ex boss mafioso. Secondo un’agenzia di sondaggi turca, sono in totale il 75% a crederci.
Qui sembrano quasi tutti entusiasti di Peker ma nonostante il suo carisma non tutti sono convinti e in questa atmosfera di festa -Sedat Peker ha appena annunciato come nel migliore degli show televisivi che il prossimo video sarà interamente sul primo ministro Erdogan- nemmeno io riesco a condividere lo stesso entusiasmo per questo ex boss mafioso.
K., curdo rifugiato politico ad Atene, non sembra nemmeno lui troppo convinto. “Fai ricerche sulle idee politiche di Peker” mi dice in un inglese zoppicante mentre mi mostra le foto di Sedat Peker in cui fa il gesto delle corna, una sorta di riconoscimento di un gruppo ultranazionalista turco, i Lupi Grigi. In realtà Peker non ha mai nascosto di essere un sostenitore del Pan Turanismo, una teoria razzista e nazionalista nata all’inizio del 20° secolo che promette un ritorno dei fasti dell’Impero Ottomano e il ripristino delle terre perse nei Balcani e non ha mai nemmeno nascosto il suo sostegno ai terroristi islamici della regione, che ritengono Tayyip Erdogan troppo occidentale. Secondo il quotidiano Hurriyet, Sedat Peker sarebbe al momento nascosto negli Emirati Arabi, sotto diretta protezione del principe Mohamed bin Zayed Al Nahyan, che aveva già avuto scontri con Erdogan.
Con tutte le sue contraddizioni e le sue ambiguità, la storia di Sedat Peker mi affascina e non riesco a smettere di pensare alla frase che chiudeva l’articolo, presa da uno dei suoi primi video: “Non dubitate. Insegneremo ad alcuni tiranni che non c’è arma più pericolosa di un uomo che non ha paura di morire”. Alcuni critici del boss però dicono che in realtà da quando è stato arrestato suo fratello, Sedat ha paura eccome, e diventare fenomeno di Youtube gli ha dato la visibilità da usare come moneta di scambio contro un regime che voleva liquidarlo dopo averlo usato.
In realtà, alcune delle accuse di Peker al regime turco non sono completamente inedite ed erano già circolate, e a parlarne era stato qualcun altro, che giornalista lo era davvero e lo faceva anche molto bene. La giornalista si chiamava Daphne Caruana Galizia e forse il nome non vi dirà niente, a meno che non vi dica anche l’inchiesta per cui la giornalista Caruana Galizia è più famosa: i Panama Papers. Ve li ricordate i Panama Papers?
In sostanza, all’inizio di aprile 2016, grazie a giornalisti coraggiosi come lei e come Bastian Obermayer del Süddeutsche Zeitung il mondo è venuto a sapere che sia governi che grossi gruppi finanziari privati evadevano le tasse registrando le loro proprietà in nazioni che avrebbero chiuso gli occhi sulla provenienza di quei soldi. Le isole Cayman erano subito diventate famose per essere dei paradisi fiscali in cui nessuno avrebbe fatto domande sulla provenienza dei tuoi soldi, ma anche Malta, dove la giornalista Caruana Galizia viveva, era attiva in questo schema di corruzione sotto gli occhi dell’Europa. Daphne Caruana Galizia aveva scoperto che le cariche più importanti del governo maltese usavano l’industria delle scommesse online dell’isola per lavare denaro sporco e il giro della compravendita della cittadinanza maltese, un milione di euro per ottenere la cittadinanza europea senza troppe domande, ma i media governativi della piccola isola mediterranea e il partito nazionalista maltese l’avevano attaccata duramente e l’avevano ridicolizzata più volte. Tra le altre cose, Daphne Caruana Galizia aveva pubblicato un articolo su uno dei cavalli di battaglia di Sedat Peker, il sostegno di Erdogan tramite soldi e armi ai terroristi in Siria, di cui parla nell’aggiornamento n.7.
Daphne Caruana Galizia stava per pubblicare un libro in cui avrebbe rivelato ulteriori prove della corruzione del governo maltese, ma il 16 ottobre 2017, la Peugeout 107 imbottita di tritolo che guidava nella campagna maltese vicino casa sua è saltata in aria in una palla di fuoco. Il primo ad accorrere è stato suo figlio Matthew Galizia, che si è trovato davanti un mucchio di lamiere ritorte ancora in fiamme in quella campagna a due passi dal mar Mediterraneo che era stata casa sua. La protezione della polizia era stata appena alleggerita dal governo laburista neo eletto, che Galizia non aveva mai smesso di denunciare dal suo blog.
A Malta i giornali nazionali hanno infangato la sua memoria dicendo che fosse soltanto una giornalista amatoriale, non degna di fiducia, che al massimo poteva scrivere in un blog. Ma Daphne aveva raccolto le prove con cura sui traffici economici nel Mar Mediterraneo, fino a mettere in pericolo anche il presidente maltese Joseph Muscat, il cui governo è stato chiamato dal capo dell’anticorruzione britannica Jonathan Benton “mafia-state”.
Come in un perpetuo effetto Rashomon ma nel Mediterraneo, ognuno in Turchia continua a presentare la propria versione dei fatti, in una guerra virtuale di accuse e minacce tra Youtube e Twitter. Quando la domenica mattina spunta la notifica del nuovo video rilasciato corro subito sul suo canale e mi ricordo di M., che mi aveva detto: “Non so più perché li guardo ancora. Mi vergogno, ma non riesco a farne più a meno.”
Sedat Peker, al momento, è l’unica informazione alternativa disponibile in Turchia. E se l’unica fonte non controllata dal governo è un ex boss mafioso con tendenze ultranazionaliste, la Turchia potrebbe attraversare il lato più buio della sua storia moderna.