Cecilia Buccioni
Michelangelo Buonarroti comincia a lavorare alla Pietà Rondanini probabilmente tra il 1553 e il 1555, tuttavia si pensa che il gruppo scultoreo sia contemporaneo ad altre pietà iniziate in questo periodo. L’artista parte dallo stesso tema eseguito per la prima volta in età giovanile (Pietà Vaticana, 1497-1499 ca.), ma l’iconografia e la composizione si fanno più intense ed essenziali in quest’ultima versione, scolpita negli ultimi dieci anni della sua vita e lasciata al suo celebre stato di non finito. L’opera viene più volte rimaneggiata e modificata, cambiando l’impostazione e l’orientamento delle figure, assottigliando gli arti e il busto dei personaggi. In questo palinsesto di marmo l’artista supera la perfezione eroica della Pietà Vaticana, trasfigurando l’iconografia sacra in un emblema di sofferenza.
Inizialmente il corpo di Cristo viene sbozzato nella parte inferiore, insieme a quello di Maria, tuttavia negli anni successivi l’artista distrugge la parte superiore e ricomincia a scolpire Gesù nel corpo della Madre. Questo ripensamento lo costringe a rimanere con poco marmo per finire entrambi, lasciando alcune parti sospese o non chiare. Cristo e Maria vengono plasmati a suggerire una fusione tra i due, simbolo di tutta la passione e della resurrezione di Gesù, che si appoggia alla Madre affidandosi completamente a lei.
Il gruppo scultoreo racchiude la tormentata riflessione di Michelangelo sull’anima umana e sulla morte, una vicenda che caratterizza quasi come un’ossessione la fase finale della sua vita, e che lo porterà a lavorarvi instancabilmente fino alla fine[1].
La Pietà Rondanini come altre opere di Michelangelo ha una forte connotazione autobiografica, ed è considerata da lui come un testamento spirituale e una testimonianza dei suoi ultimi pensieri. L’incompiutezza comunica fragilità e turbamento, dando grande emotività ai corpi e generando allo stesso tempo un senso di intimità drammatico intorno ad essi. L’artista vive uno stato di ricerca profonda mentre realizza la scultura, cercando di trovare risposte forse irraggiungibili sul destino dell’uomo e dell’umanità, che gli permettono di congiungere la tenerezza e l’emozione con il realismo della forma.
Il percorso che Michelangelo attraversa nella gestazione di questa opera lo porta dalla filosofia neoplatonica, trasformata nel desiderio di bellezza, a concepire una concordanza ultima tra amore terreno e amore celeste, che confluisce nelle figure religiose. La tematica cristologica assume importanza poco prima della metà del XVI secolo, quando gli esercizi spirituali diventano protagonisti dei suoi disegni, e continuerà ad esserlo negli anni successivi, quando l’artista si confronta sempre di più con la sua condizione umana e la schiavitù dei sensi. Per questo inizia a meditare profondamente, spogliandosi di tutti i vizi e le mondanità assecondate fino a poco tempo prima, cercando di sottomettersi totalmente a Dio e al suo amore superiore. La Pietà Rondanini con la sua essenzialità e il suo ermetismo medievale ricorda esattamente sia il dramma interiore che la gioia immensa provata dallo scultore in questa catarsi del fisico e dell’anima[2].
Le notizie sul percorso della scultura alla morte di Michelangelo sono molto rarefatte, in quanto è nominata nell’inventario del 1564 delle opere dell’artista, voluto da papa Pio IV, e ricompare con certezza nelle fonti nel 1652, su testimonianza visiva del pittore Pietro da Cortona in una bottega romana. Nel 1744 il Marchese Giuseppe Rondinini (poi Rondanini) la acquista per unirla alla sua collezione d’arte, allestita nel Palazzo Rondanini Aldobrandini in via del Corso (Roma), imponendovi la sigla MGR. Negli anni successivi il Palazzo viene acquistato dal banchiere Agostino Feoli e poi dal principe Ladislao Odescalchi, conservando la scultura al suo interno. Nel 1904 entrambi entrano nelle proprietà del conte Vimercati-Sanseverino, e alla sua morte la Pietà viene spostata in un villino della famiglia.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale l’opera viene acquistata dal comune di Milano nel 1952 per un mancato accordo tra eredi, ed inserita nel progetto di riallestimento dei Musei del Castello Sforzesco di Milano, già avviato dallo studio di architetti BBPR. La scultura viene lasciata sulla base di età romana su cui si trovava e posizionata in una nicchia in pietra serena, impedendole il dialogo con tutto il resto dell’ambiente e conferendole un’aura sacra.
Con i primi rinnovamenti delle sale museali iniziati a cavallo del Duemila, si organizza un workshop progettuale per ripensare l’allestimento del gruppo scultoreo (1999) e avviarne un processo di manutenzione straordinaria.
Fino al 2005 la Pietà è sottoposta a restauro, con una prima fase diagnostica seguita dalla pulitura, necessaria ad eliminare la patina di polveri accumulate nel tempo sulla superficie del marmo[3].
Nel 2012 c’è il secondo tentativo di cambiare le sorti dell’ultima scultura di Michelangelo, per valorizzarla al meglio in virtù del suo grande valore storico-artistico e darle maggiore visibilità.
Iniziano i sopralluoghi alla ricerca di un luogo idoneo ad ospitare l’opera nella sua inedita veste espositiva. Si valuta soprattutto l’Ospedale Spagnolo, un grande spazio del complesso museale del Castello Sforzesco, per il quale vengono previsti impianti e restauri imponenti, data la condizione di degrado in cui si trovava.
Nel giugno del 2013, dopo alcune indagini preliminari sulla scultura per verificarne lo stato conservativo e le condizioni dello spostamento, viene affidato allo studio di Michele De Lucchi l’incarico di progettazione dell’allestimento.
Il restauro dell’ampio vano prevede lo smantellamento dei materiali da ufficio e magazzino, testimonianza dei precedenti utilizzi, e il recupero della monumentale spazialità dell’intero locale. Essa garantisce centralità al gruppo scultoreo, fruibile finalmente a 360° in tutto il suo fascino e silenziosa bellezza. L’accordo dell’opera con il luogo è intimo e significante, poiché in passato si configurava come sede di ricovero delle truppe spagnole, abbellito da svariate decorazioni concluse nel 1576 (data riportata sul muro), in concomitanza dello scoppio della peste di San Carlo. La rimozione di alcuni tramezzi e rivestimenti del XX secolo riporta alla luce le pitture originali di questo ambiente, votato alla sofferenza umana, costituite da oculi e ghirlande, circondate da cartigli con le iscrizioni del credo apostolico. I dodici tondi sulle vele delle tre campate ospitano anticamente le effigi dei discepoli di Gesù, mentre ornano le pareti lunghe delle rappresentazioni illusionistiche, adiacenti alle finestre. Le pareti corte vengono decorate con stemmi spagnoli ancora parzialmente riconoscibili, rispettivamente dell’Arma Spagnola, dello Stato di Milano e delle famiglie del castellano e del governatore[4].
Nonostante i vincoli e gli stravolgimenti imposti alla struttura affinché potesse ospitarlo, il Museo della Pietà Rondanini viene inaugurato il giorno dopo l’apertura di EXPO, il 2 maggio del 2015, affiancato da nuove sale espositive che verranno utilizzate per progetti temporanei.
[1] M. G. Montessori, Il Castello Sforzesco di Milano, Venezia, Marsilio, 2016, pp. 32-36; https://www.milanocastello.it/it/content/michelangelo
[2] https://www.artwave.it/arte/storia-dellarte/la-pieta-rondanini-il-testamento-di-michelangelo-a-milano/ ; C. Battezzati, 1562-1564 L’ultimo Michelangelo: la Pietà Rondanini. La fine, in Michelangelo. Una vita, a cura di P. Aiello, Milano, Officina Libraria, 2014, capitolo XVIII pp. 267-278; A. Bernardini, L. Mattioli, Barry X Ball The End of History, Arezzo, Magonza, 2018, pp. 11-108.
[3] https://rondanini.milanocastello.it/it ; F. Repishti, La Pietà Rondanini di Michelangelo, in Lotus International n. 154, 2014, pp. 42-45
[4] https://rondanini.milanocastello.it/it/content/l%E2%80%99ospedale-spagnolo ; C. Salsi, Michelangelo: la Pietà Rondanini nell’Ospedale Spagnolo del Castello Sforzesco, Milano, Officina Libraria, 2014