35 millimetri

Old: il tempo che passa fa paura?

Alfonso Martino

Negli ultimi anni il genere horror si è ben amalgamato con il thriller psicologico, liberando il genere dai jumpscare, dai brividi legati ai classici mostri o spiriti (basti pensare a Midsommar di Ari Aster o Get Out di Jordan Peele).
Un regista che ha provato questa commistione di generi è stato M. Night Shyamalan con Old, pellicola che riprende la graphic novel francese Castello di Sabbia.

La vicenda vede una famiglia in vacanza in un resort esclusivo. La villeggiatura è il mezzo per provare a ricucire i rapporti tra Guy e Prisca.
Shiamalayan risparmia erroneamente minutaggio sull’introduzione dei personaggi  per far entrare subito lo spettatore nel vivo dell’azione: infatti la famiglia entrerà a far parte di un’escursione riservata a pochi clienti in una spiaggia paradisiaca, un piccolo lembo di terra in cui si concentrerà la maggior parte del film.

Il regista è abile nel mantenere la tensione per i primi 20-30 minuti, offrendo uno spunto da romanzo giallo subito dopo l’arrivo dei personaggi sulla spiaggia: una donna viene trovata morta in mare, con un uomo defilato sullo sfondo che non fa molto per depistare i sospetti.
Inevitabilmente la tensione aumenta, con la macchina da presa che si pone sempre più vicina ai protagonisti, dando allo spettatore la sensazione di vivere quel momento con loro.

Il tempo si presenta in una sequenza girata perfettamente, in cui la scena è offuscata e sentiamo la voce dei figli della coppia protagonista diversa rispetto alle scene iniziali, con la macchina da presa che riprende di spalle tutti i personaggi, di cui sentiamo la loro paura.

Da questo momento, il film entra in una fase calante in cui tutto ciò che si vede sullo schermo diventa prevedibile. A poco serve la maestria di Shyamalan nel mantenere la tensione, grazie a inquadrature ravvicinate che mostrano lo scorrere veloce del tempo e gli effetti che hanno sul corpo e la mente dei personaggi e la musica incalzante; inoltre, il regista cade nello stesso errore di Split, inserendo nella fase finale scene che dovrebbero spaventare e che invece fanno ridere (esatto, è la scena nella grotta).

Il finale lascia l’amaro in bocca perché il regista è celebre per i suoi plot twist (Il Sesto Senso, Unbreakable); qui è decisamente meno d’impatto rispetto ai film citati in precedenza e non riesce a spezzare la prevedibilità della messinscena, lasciando il rammarico per un soggetto che aveva un grandissimo potenziale e che poteva essere sviluppato in maniera diversa.