Rappresentazione artistica della camminata dei cinque ominidi che hanno lasciato le impronte nel sito di Laetoli (© Dawid A. Iurino/CC BY 4.0) – Le Scienze
Roberta Giannì
Era il 1978. La paleoantropologa Mary Leakey si trovava a Laetoli, a 30 miglia a sud dalla Gola di Olduvai, in Tanzania, Africa. La donna, viaggiatrice e conoscitrice di siti preistorici sin da piccola, si era poi cimentata nello studio della geologia e dell’archeologia, discipline a quei tempi considerate ancora poco adatte a una donna. Nel corso della sua carriera si era resa protagonista, assieme al marito Louis Leakey, di importanti scoperte di antichi resti fossili poi associati a ominidi imparentati con Homo sapiens, alle quali seguì una delle più emblematiche della storia: le orme di Laetoli.
Il ritrovamento venne classificato come impronte lasciate su uno strato umido di ceneri vulcaniche e appartenente ad alcuni individui di Australopithecus afarensis, specie nota per il rinvenimento dei resti di Lucy nella regione dell’Afar, Etiopia, nel 1974.
Nel 1982 il “Scientific American” pubblicava un articolo della stessa Mary Leakey e del collega Richard M. Hay in cui vengono descritti i particolari della scoperta. Riferendosi alla zona vicino al lago Eyasi in Tanzania, gli studiosi descrivevano una serie di strati di cenere vulcanica che avevano preservato i resti fossili di animali e di ominidi molto antichi, gli ultimi risalenti a 3,6 milioni di anni fa.
Il giacimento di Laetoli comprende un territorio con un’estensione di 1500km sull’altopiano di Eyasi, a nord-ovest del lago omonimo, e si sovrappone ad antichi basamenti rocciosi che erano circondati da diversi grandi vulcani.
Si compone di strati di cenere vulcanica, probabilmente proveniente dal vicino vulcano Sadiman, a 20 km a est di Laetoli, creatisi a seguito di un fenomeno di eruzione. Tali strati si compongono per 3/4 da cenere depositata dal vento, e per la restante parte da cenere depositata sul terreno dopo la caduta dal vulcano, e non smossa dal vento. A seguito della deposizione di cenere, 1,2 milioni di anni più tardi il territorio andò incontro a un’intensa attività vulcanica, a cui seguì il sollevamento di una piana, si sviluppò il lago Eyasi e, pian piano, quello che è il territorio di oggi. I resti fossili animali rinvenuti nello strato di cenere indicavano come la zona fosse frequentata da forme di bovidi, giraffe, maiali, rinoceronti, cavalli, e due forme di proboscidati: elefante e dinoterio, la seconda oggi estinta.
Le impronte rinvenute ricoprivano un tratto di 25mt sullo strato di cenere ed erano in un totale di 54, in alcuni punti maggiormente visibili rispetto ad altri.
Furono associate a ominidi appartenenti alla specie di Australopithecus afarensis, ipotesi avanzata grazie ai resti fossili di Lucy: gli studiosi White e Suwa dimostrarono infatti nel 1987 che il piccolo piede di Lucy si adattava nella forma e nelle dimensioni alle impronte di Laetoli. La specie è stata classificata come vivente tra i 3,9 e i 2,8 milioni di anni fa e, insieme ad altre, compone il grande albero dell’evoluzione umana, in quanto parente alla lontana di Homo sapiens.
Un Australopithecus afarensis si distingue grazie ad alcune caratteristiche che rimandano ancora alle scimmie, come alcuni caratteri fisici o l’abilità di spostarsi tra gli alberi. Tra i primi si inseriscono una piccola corporatura, un cranio di dimensioni ridotte, viso sporgente, mandibole lunghe, strette e dotate di molari dalle grosse dimensioni. La specie occupava territori tra loro differenti: alcuni individui si spostavano nella savana, altri preferivano foreste più dense. Analisi microscopiche dello smalto dei denti hanno rivelato come la dieta di un Australopitecus afarensis fosse caratterizzata in primo luogo da piante e frutta; tuttavia alcune evidenze suggerirebbero anche un possibile consumo di carne. Si pensa inoltre che possano essersi serviti di pietre utilizzate come strumenti, anche se non vi sono evidenze di modellamento della forma. Si ipotizza che gli individui vivessero in piccoli gruppi in cui erano presenti maschi e femmine – le seconde con corporatura in genere più piccola rispetto ai maschi -, adulti e bambini.
A Laetoli, gli individui avevano probabilmente camminato sullo strato di cenere che si era depositata a seguito di un’eruzione e dell’azione del vento, e che la pioggia aveva reso umido, facendo sì che sul terreno restassero le tracce del loro passaggio. Presto il sole asciugò lo strato, il quale si indurì come il cemento, e venne pian piano coperto da altra cenere e da sedimenti che si accumularono nel tempo. Alcune delle orme rimasero scoperte, altre vennero alla luce con gli scavi. Si disponevano su due percorsi paralleli ma sin da subito non fu chiaro a quanti effettivi individui appartenessero. Dopo diverse osservazioni, alcuni degli studiosi che se ne occuparono avanzarono l’idea che potesse trattarsi di tre individui di cui uno bambino, date le piccole dimensioni di alcune impronte; altri supponevano invece che le orme appartenessero a due soli individui, di cui il secondo procedeva sugli stessi passi del primo, calpestandone le orme. Nel secondo caso, non furono notate grandi differenze tra le due serie di impronte, fatto che fece pensare che i due individui non avessero tra loro importanti differenze fisiche. Gli studiosi hanno infatti calcolato che se due soggetti con altezze differenti camminano insieme a una velocità standard calcolata, mostrano numerose differenze nella lunghezza del passo e nella cadenza (intesa come frequenza regolare dei passi in un determinato arco temporale). Per caratteristiche quali la lunghezza del passo, la velocità relativa e la cadenza, la serie di orme è stata associata a una passeggiata: quella degli esseri umani moderni rientra nelle stesse caratteristiche.
Le impronte di Laetoli ben descrivono l’evoluzione della posizione eretta e della camminata bipede, sviluppatesi dunque prima dell’accrescimento cerebrale e dell’abilità di costruire specifici utensili. L’Astralopithecus afarensis non aveva ancora abbandonato del tutto lo spostamento tra gli alberi quando iniziò a sperimentare la locomozione bipede, che era di fatto simile alla nostra: nelle impronte di Laetoli il tallone era la prima parte del piede a toccare il terreno; l’alluce era allineato con le altre dita del piede e le piccole depressioni rilevate in prossimità di esso mostrarono come il dito, nel corso della locomozione, esercitasse una lieve pressione verso il basso. Uno studio del 2016 proponeva un esperimento volto alla comprensione del tipo di movimento in atto nel corso della camminata bipede degli individui di Laetoli. Non conoscendo l’esatto peso di questi ultimi, gli studiosi optarono per il coinvolgimento di bambini di età tra i cinque e i sette anni con dimensioni dei piedi comparabili con quelle delle impronte di Lateoli. Gli venne chiesto di camminare su un tappetino di gomma con dell’inchiostro sulla superficie, in modo da poter dedurre i valori della pressione esercitata dai piedi. I risultati mostrarono come nonostante a camminare fossero individui tra loro simili, movimenti quali la rotazione e la torsione del tronco del singolo soggetto potevano invece distinguerli tra loro in quanto, a seconda del movimento esercitato nel corso della camminata, i soggetti esercitavano una differente pressione sul terreno. Dopo aver ottenuto questi risultati, l’analisi delle impronte di Laetoli mostrava come probabilmente gli ominidi che avevano camminato sulla cenere umida avevano esercitato una pressione sul terreno dovuta al movimento di rotazione nella parte superiore del corpo. Tale movimento venne associato a tre possibili motivazioni: caratteristiche fisiche ancora molto simili a quelle delle scimmie; gli individui trasportavano qualche oggetto pesante; condizioni patologiche. Non vi era una completa certezza su una delle tre, tuttavia gli studiosi conclusero come gli ominidi, visti i risultati, camminassero in maniera lenta, in una passeggiata e che non fossero dunque in grado di correre, caratteristica che li distingue da un Homo.
Nel corso del tempo, l’esposizione delle impronte a varie cause di deterioramento ha fatto sì che fossero avviati progetti per la conservazione del sito. Tra le cause vi era la crescita di piante intorno alla zona del rinvenimento, le cui radici potevano distruggere gli strati con le impronte fossili. È così che un team di restauratori e scienziati del Getty Conservation Institute di Los Angeles, e altri dopo di loro, hanno sviluppato progetti atti alla conservazione e alla protezione del sito dalle varie cause di deterioramento, un continuo monitoraggio per mantenere il sito accessibile a vari studiosi e alla gente del posto. La divulgazione di informazioni sul sito di Laetoli a favore di questi ultimi è uno dei principali compiti della Antiquites Division of the Ngorongoro Conservation Area Authority che raccoglie per un vasto pubblico tutte le nuove informazioni sulle australopitecine e l’ambiente in cui vivevano.
Nel frattempo non si fermano le analisi dei livelli di cenere di Laetoli. Un articolo del 2016 pubblicato su “Le Scienze” riportava la possibilità che a camminare sulla cenere umida non fossero più solo due individui, come ipotizzato a partire dagli anni ’70, ma ben cinque ominidi, di cui uno o due probabilmente di giovane età. Lo studio si mostrava dunque ampiamente favorevole per coloro che nella camminata di Laetoli avevano distinto più di due individui.
Laetoli costituisce un esempio di come anche una semplice passeggiata di milioni di anni fa può essere un’importante tessera nel grande puzzle della storia umana.
Bibliografia
Claudi F. (2016) Nuove orme scoperte a Laetoli cambiano lo scenario su Lucy & famiglia, Le Scienze.
eLife 2016;5:e19568
Hay, Richard L., and Mary D. Leakey. “The Fossil Footprints of Laetoli.” Scientific American, vol. 246, no. 2, 1982, pp. 50–57., www.jstor.org/stable/24966522. Accessed 4 May 2021.
Schmid P. (2004) Functional Interpretation of the Laetoli Footprints. In: Meldrum D.J., Hilton C.E. (eds) From Biped to Strider. Springer, Boston, MA. https://doi.org/10.1007/978-1-4419-8965-9_4
Sitografia