Universal Declaration of Human Rights by United Nations Photo is licensed under CC BY-NC-ND 2.0
di Lucia Vitale
Articolo 3
Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.
Articolo 5
Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti.
Articolo 12
Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesione del suo onore edella sua reputazione. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o lesioni.
Articolo 18
Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti.
Questi sono solo quattro articoli tratti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (DUDU) , documento steso dalle Nazioni Unite, appena costituitesi, negli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale.
Infatti, dopo aver assistito agli orrori della guerra, si vuol mettere su carta quali sono i diritti fondamentali degli essere umani: quei diritti che ci appartengono a prescindere dall’età, nazionalità, genere, orientamento sessuale, etnia1, religione e opinioni personali. La DUDU viene approvata e proclamata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che, in quell’anno, è costituita da 58 Paesi. Firmando la Dichiarazione, ognuno di questi stati decide di essere vincolato ai principi espressi dai 30 articoli del documento.
Tra i Paesi firmatari c’è la Cina, oggi, accusata di perseguitare e violare i diritti umani delle shǎoshù mínzú ( ‘minoranze etniche’ in cinese) che abitano lo Xinjiang, regione cinese situata nella parte nord-ovest del Paese.
Gli uiguri
Fino a qualche tempo fa la regione era popolata maggiormente dagli uiguri, divenuta poi minoranza. Gli uiguri sono una popolazione turcofona di religione musulmana vittima del pregiudizio e del programma di “rieducazione” anti-terroristico della Repubblica comunista cinese.
Ormai da anni le principali testate internazionali2 ci forniscono testimonianze di ciò che sta accadendo in Cina: oltre un milione di uiguri è già stato internato in campi di “rieducazione” e le famiglie ne hanno perso ogni traccia; sottoposti a lavoro forzato e vittime di torture. Le donne uigure sono chiamate a farsi sterilizzare e, se si rifiutano, ricevono minacce di internamento; all’interno dei campi, le donne sono vittime di abusi sessuali. Gli uiguri sono super sorvegliati, venduti come se fossero oggetti per essere sfruttati in numerose fabbriche cinesi; inoltre, viene impedito loro di professare la religione musulmana. I giovani uiguri vengono allontanati dalle proprie famiglie e dalla propria cultura e sottoposti a lavaggio del cervello.
Insomma, il mondo sta assistendo a quello che è stato definito come il genicidio3 del popolo degli uiguri. E tutto ciò sta avvenendo senza che i governi internazionali prendano delle misure serie per fermare la Cina. Non ci è bastata forse la lezione della Seconda guerra mondiale…
Il programma d’istruzione superiore4
Il programma è stato definito come un “grande esperimento etnico” (McKenzie 2004) con lo scopo di “hanizzare” le minoranze cinesi e, quindi, sterminare qualsiasi cultura che differisca da quella Han, cultura dominante in Cina.
Sul finire del 1999, il governo cinese annuncia in maniera ufficiale che, dall’anno successivo, sarebbe partito un programma d’istruzione superiore destinato ai giovani appartenenti alle etnie mínzú col tentativo di “infondere” in loro i valori del partito comunista e di rafforzare l’“integrazione” delle minoranze all’interno della società cinese. Esso prevede il trasferimento di coloro che riescano a superare le varie prove d’ingresso in collegi piuttosto distanti dalle famiglie. Sin da subito la maggioranza degli studenti che prendono parte al programma sembra essere rappresentata dagli uiguri i quali, secondo un censimento effettuato nel 2010, sono pari a quasi la metà dei selezionati.
Il programma è volontario: ciò significa che gli studenti non sono forzati come, invece, lo sono stati i giovani indigeni dell’America del Nord e dell’Australia durante il XVIII e l’inizio del XIX secolo. Eppure, è un programma che non lascia alternativa. Esso appare come un miracolo agli occhi delle famiglie dello Xinjiang, soprattutto, di quelle che abitano le zone rurali della regione poiché il governo cinese offre un’istruzione a basso costo o costo zero per i più poveri; e di migliore qualità rispetto alle scuole dello Xinjiang, dove i professori risultano essere impreparati e le strutture poco attrezzate. Invece, i collegi del programma cinese sono delle strutture benfatte in cui vengono messi a disposizione degli studenti strumenti di ultima generazione.
Molto convincente la campagna governativa consistente, ad esempio, nel mandare in onda programmi televisivi che mostrano la vita da sogno all’interno di questi collegi. Come evidente conseguenza, durante il primo anno del programma, le iscrizioni eccedono i posti a disposizione.
Il programma riscuote, dunque, un successo enorme presso la regione dello Xinjiang, ma a che prezzo?
I campi di “rieducazione”
Gli uiguri sono sottoposti da numerosi anni ad una forte sorveglianza da parte del governo cinese per paura che si ripetano rivolte simili a quelle del 2009 nella capitale Urumqi e per paura di futuri attacchi terroristici.
Si parla della regione dello Xinjiang come l’area più sorvegliata del mondo con telecamere ad ogni angolo della strada e riconoscimento facciale ideato per l’identificazione della minoranza musulmana. Gli uiguri sospetti (sospettati, ad esempio, per aver richiesto un semplice passaporto cinese) vengono arrestati, separati dalle loro famiglie e inviati per anni in campi di “rieducazione” dove è possibile “trasformare i pensieri estremisti degli uiguri” (come può un intero gruppo etnico essere considerato terrorista?); dove si è sottoposti a lavoro forzato; dove vengono inculcati i principi politici del comunismo cinese e impartite lezioni di mandarino; dove non può essere professata la fede musulmana e dove, in alcuni casi, si è vittime di tortura.
Cosa succede realmente qui dentro lo sappiamo solo grazie a chi è riuscito a sfuggirne poiché la Cina continua a negare le accuse di violazione dei diritti umani e non ammette qualsiasi tipo di inchiesta indipendente sul posto. Il governo cinese rende pubblica solo la propaganda ufficiale che mostra questi campi di “rieducazione” come dei luoghi in cui lo svago è parte integrante del soggiorno. Come non pensare alla propaganda fake del regime nazista?
La nuova fase del programma di “rieducazione”
Una recente indagine dell’Australian Strategic Policy Institute (ASPI) parla dell’esistenza di una nuova fase del programma di “rieducazione” delle minoranze dello Xinjiang, ossia quello del loro trasferimento all’interno di numerose fabbriche cinesi, dove sembrano essere sottoposti a lavoro forzato, indottrinamento politico; dove sono sorvegliati da torri e gabbiotti della polizia e circondati da filo spinato; dove vivono all’interno di dormitori divisi dagli altri lavoratori e dove vige il divieto di professare il proprio credo.
Ad esempio, in un caso specifico la mensa degli uiguri non prevede cibo halal. Il trasferimento rientra ancora una volta in un programma governativo “di sostegno” a favore della regione dello Xinjiang, come nel caso del programma d’istruzione superiore. La scelta di lavorare presso queste fabbriche fuori dalla regione dello Xinjiang è “libera”, a detta del governo, tuttavia nasconde numerose minacce di arresto in caso di rifiuto. Inoltre, ultimamente il programma ha cominciato a essere sponsorizzato anche online: alcuni portali riportano numerosi annunci in cui vengono offerti lavoratori uiguri come se fossero degli oggetti in vendita.
L’indagine dell’ASPI non può provare se tutti i trasferimenti siano stati forzati, ma si stima il trasferimento di 80.000 uiguri che, tra il 2017 e il 2019, sono stati inviati dalle loro case o direttamente dai campi di “rieducazione” in Xinjiang a lavorare all’interno di ben 27 aziende, situate in ben 9 province cinesi, rifornitori diretti o indiretti di ben 82 famosi marchi mondiali, operatori nell’industria automobilistica, dell’abbigliamento e dell’elettronica.
Tra gli esempi più lampanti, l’azienda Taekwang nella regione cinese del Qingdao, uno dei principali rifornitori di scarpe della Nike, ha preso parte al programma. Così come l’azienda Haoyuanpeng nella regione Anhui, dove sono stati spediti uiguri direttamente dai campi di “rieducazione”; l’azienda d’abbigliamento pubblicizza di lavorare per Fila, Nike, Adidas e Puma. Infine, ha aderito al programma anche l’azienda Highbroad Advanced Material Co. nella regione Anhui, che rifornisce la BOE Technology la quale, a sua volta, è uno dei principali rifornitori di schermi per la Huawei e, da quest’anno, il secondo più grande rifornitore di schermi OLED per la Apple.
Den Toten zur Ehr den Lebenden zur Mahnung
La frase, che letteralmente significa “in onore dei morti e come avvertimento per i vivi”, si trova sulla statua che ritrae un prigioniero del campo di concentramento di Dachau, in Baviera.
Che cosa significa? Si vuole esprimere ciò che ci sentiamo ripetere, soprattutto, durante la Giornata della Memoria: gli eventi del passato vanno commemorati affinché gli stessi non si ripetano più. Eppure, la storia non deve ripetersi esattamente nella stessa forma e negli stessi luoghi.
Ci rendiamo conto che le azioni in atto del governo cinese sono un vero e proprio crimine contro l’umanità?
1 Il sostantivo è qui impiegato nell’accezione propria, cioè inteso come “aggruppamento umano basato su caratteri culturali e linguistici.” Mentre, nel resto del testo verrà impiegato nell’accezione del linguaggio giornalistico di “minoranza nazionale”, Treccani, Vocabolario Online
2 The persecution of Uyghurs is a crime against humanity, The economist 17 ottobre 2020;
China forcing birth control on Uighurs to suppress population, report says, BBC 29 giugno 2020;
La sorte degli uiguri è cruciale per i rapporti tra Cina e occidente, Internazionale 18 settembre 2020;
Their goal is to destroy everyone: Uighur camp detainees allege systematic rape, BBC 2 febbraio 2021.
3 Il 9 dicembre 1948 l’Assemblea Generale dell’ONU ha adottato una convenzione che stabilisce la punizione del genocidio commesso sia in tempo di guerra sia nei periodi di pace e qualifica come g.: l’uccisione di membri di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso; le lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; la sottomissione del gruppo a condizioni di esistenza che ne comportino la distruzione fisica, totale o parziale; le misure tese a impedire nuove nascite in seno al gruppo, quali l’aborto obbligatorio, la sterilizzazione, gli impedimenti al matrimonio ecc.; il trasferimento forzato di minori da un gruppo all’altro. Tale definizione è stata accolta nell’art. 6 dello Statuto della Corte penale internazionale firmato a Roma il 17 luglio 1998, Treccani, Enciclopedia Online
4 Chapter 1 – Negotiating Inseparability in China. The Xinjiang Class and the Dynamics of Uyghur Identity di Timothy Grose, © Hong Kong University Press 2019