Lo scenario

L’Indipendenza e le origini della violenza nella Repubblica Democratica del Congo

Nicolò Errico

L’ambasciatore italiano Luca Attanasio è stato ucciso il 22 Febbraio insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci durante uno scontro a fuoco nel Kivu del Nord, regione orientale della Repubblica Democratica del Congo (RDC). Il gravissimo episodio ha riportato l’attenzione su una delle aree più pericolose al mondo. Dominato da signori della guerra, spesso al soldo di potenze straniere – in particolare Ruanda, Uganda e Burundi – il Congo orientale nasconde un violentissimo intreccio di conflitti e lotte che da anni compromette la stabilità del Paese.

La mappa, fornita dal Governo Australiano, mostra come evitare le zone più violente del Congo e, in generale, suggerisce di riconsiderare l’idea di viaggiare in qualsiasi zona del Paese


La RDC – da non confondere con la vicina Repubblica del Congo, con capitale Brazzaville – è un serbatoio mondiale di risorse naturali. Governata spietatamente dal Belgio per 75 anni – dal Congresso di Berlino (1885) fino all’indipendenza (1 luglio 1960), la RDC non ha mai raggiunto nella sua storia una vera e propria pacificazione. La sua sfortuna risiede non solo nell’estrema ricchezza del suolo, ma anche nella vicinanza ad alcuni degli Stati più militarmente ingerenti del continente. La competizione tra i regimi autoritari dell’Africa centrale influenza tuttora la vita della RDC.
Questo articolo si propone di introdurre la vicenda della nascita della RDC, uno degli Stati più importanti e meno conosciuti del continente africano. Conoscere la storia di questo tormentato Stato significa indagare alcune delle circostanze della morte di Luca Attanasio e di Vittorio Iacovacci, le ultime vittime dell’incessante violenza che regna da più di 60 anni nella RDC.

L’indipendenza congolese è considerata dalla storica dell’Africa Anna Maria Gentili come “la più traumatica” del continente, che “rivelò anche quale fosse la posta in gioco nella fine del sistema coloniale in Africa”. La vicenda congolese influenzerà i processi di decolonizzazione di Rwanda, Burundi, Zambia, Congo Brazzaville, Mozambico e Angola. Il Congo è il secondo paese più ricco di risorse dopo il Sud Africa, un vero e proprio colosso. L’uranio congolese ha permesso la creazione dell’atomica americana. Oltre a cobalto ed uranio, più recentemente il Congo si è scoperto anche ricco di coltan, materiale di vitale importanza per la telefonia mobile. L’abbondanza di materiali utili all’ingegneria nucleare, la vastità dello Stato e la posizione dominante nel continente resero la RDC il primo vero campo di battaglia della Guerra Fredda in Africa, dopo la breve crisi di Suez.

Nel 1959 una serie di tumulti spinge il re del Belgio Baldovino a riconoscere la possibilità di un’indipendenza congolese. L’opposizione al dominio belga è giustificata da anni di violenza e sfruttamento. Le stime delle vittime della dominazione di Leopoldo II – il re belga che gestì il Paese come una proprietà personale dal 1985 agli inizi del ‘900 oscillano tra i 25 e i 35 milioni, superando quelle generalmente accettate di 10 milioni circa.
Il 20 gennaio il governo belga apre una Tavola Rotonda con i rappresentanti dei principali partiti congolesi, per decidere le tappe dell’indipendenza, la cui data viene fissata dal 1° luglio 1960.
Bisognava conciliare le posizioni di partiti molto diversi tra di loro. Se all’inizio del 1958 in Congo sono presenti solo 6 partiti, nel 1960 sono diventati più di 100.
Importante attore della decolonizzazione congolese è il Mouvement National Congolais (MNC), nato nel 1958 con l’intenzione di superare attraverso l’unità nazionale i tribalismi rappresentati dagli altri principali partiti, come l’ABAKO – guidato da Joseph Kasavubu, il primo partito congolese de facto apertamente schierato contro la dominazione belga – o il CONAKAT, partito tribale della ricca regione del Katanga, fondato da Moise Thsombe nel 1958.
Leader del MNC era Patrice Lumumba. Figura controversa, esaltato dalla letteratura postcoloniale come uno dei padri del pensiero panafricanista e ridimensionato da studi più recenti, Lumumba fu sicuramente in grado di connettere il MNC al grande movimento panafricanista in occasione del Congresso di Accra nel 1958.

Le elezioni del maggio 1960 danno la vittoria al MNC, che ottenne la maggioranza relativa alle Camere. Tuttavia il governo belga sceglie Joseph Kasavubu dell’ABAKO per formare il primo governo. Fallito il tentativo di formare una coalizione, il secondo mandato spetta a Patrice Lumumba, che proclama la nascita del primo governo del Congo indipendente il 23 giugno 1960. Con una coalizione di ben 13 partiti, Lumumba viene incaricato come primo ministro e Kasavubu presidente della Repubblica. Nella notte tra il 30 giugno e il 1° luglio 1960 il Congo diventa indipendente.
Il discorso di Lumumba alla presenza del re Baldovino, durante la cerimonia di transizione nella capitale Kinshasa, è tuttora uno dei testi fondamentali del panafricanismo.
Chi potrà mai dimenticare che al negro si dava del “tu”, non come a un amico, ma perché l’onorevole “voi” era riservato solo ai bianchi?”, dice Lumumba nell’imbarazzo generale.

Il 4 luglio 1960 il Congo, dopo appena quattro giorni di festeggiamenti, precipita nel caos con l’ammutinamento dell’esercito nella caserma Leopoldo II. I soldati congolesi della Force Publique, guidati da un corpo ufficiali completamente belga, si rifiutano di eseguire gli ordini finché l’esercito non sarà riformato e africanizzato. Il rifiuto del comandante dell’esercito scatena la rivolta, che si estende alla guarnigione di Thysville, dove vennero presi di mira non solo gli ufficiali, ma anche i civili bianchi. Le notizie di stupri ed omicidi gettano la popolazione bianca del Congo nel panico, provocando l’esodo di decine di migliaia di europei all’estero.

Per porre fine alla rivolta, Lumumba avvia una rapidissima e disastrosa africanizzazione della Force Publique, che cambia nome in Arméè Nationale Congolaise (ANC), con a capo l’amico e futuro dittatore Joseph-Désiré Mobutu.
La fuga dei belgi significa per il paese la perdita di quasi tutto il personale medico, imprenditoriale e amministrativo. Nel giro dell’estate 1960 l’economia e le infrastrutture collassano.
Il 10 luglio 1960 si verifica il primo intervento di paracadutisti belgi su suolo congolese a Elisabethville e a Luluabourg, mentre l’11 luglio corazzate belghe aprono il fuoco sulla città portuale di Matadi. Approfittando del caos, l’11 luglio Moise Tshombe, capo del partito CONAKAT, dichiara la secessione della regione del Katanga, ricchissima di risorse minerarie, controllate dalla compagnia belga dell’Union Minière, e motore economico del Congo. La Banca Nazionale belga fornisce aiuto per la creazione di una banca centrale del Katanga e consiglieri belgi si affiancano ai ministri del governo separatista. Frattanto, ufficiali belgi e mercenari rhodesiani e sudafricani creano per Tshombe un esercito indipendente, la Gendarmeria del Katanga, composta principalmente dai soldati catturati dell’ANC.

Il 12 luglio Lumumba si appella all’ONU. Il Consiglio di Sicurezza, riunito urgentemente dal segretario Dag Hammarskjöld, richiede il ritiro delle truppe belghe e approva, grazie all’attivismo dell’Unione Sovietica, la missione ONUC, la più grande operazione condotta dall’ONU fino ad allora. I caschi blu sono forniti da diversi governi africani vicini a Lumumba, come quello del Ghana di Nkrumah, ma anche da paesi europei, come l’Irlanda. Il 14 luglio Lumumba, insoddisfatto delle decisioni dell’ONU, prende contatto con Mosca, sancendo l’apertura del fronte africano nella Guerra Fredda.
Il 15 luglio atterrano in Congo i primi contingenti ONU, che ingaggiano violenti combattimenti con la Gendarmeria del Katanga. L’arrivo dei primi rifornimenti sovietici suscita la preoccupazione degli Stati Uniti, che prende in considerazione la possibilità di un intervento NATO su suolo congolese.
Il 10 agosto 1960 il Belgio ritira le forze armate dal Congo, senza però smettere di sostenere il governo del Katanga. Anzi, i belgi iniziano a pianificare il possibile assassinio di Lumumba.
L’8 agosto la regione del Kasai del Sud dichiara la secessione, mettendo definitivamente in crisi la leadership di Lumumba. L’offensiva contro il Kasai indipendente provoca solo inutili massacri.
Il governo si spacca in due: da un lato Lumumba, sostenuto dall’URSS, Ghana e altri paesi alleati del continente, dall’altro Kasavubu, forte del sostegno statunitense e dell’ONU.
Nel settembre 1960 i due si destituiscono a vicenda, aggiungendo al caos del paese una crisi costituzionale, che si chiude il 14 settembre con il colpo di stato del colonnello Mobutu, sostenuto dalla CIA. Il colonnello diventa presto uno dei più fedeli alleati degli USA nella guerra fredda.
Lumumba si barrica in casa, protetto da caschi blu ghanesi accampati nel suo giardino, mentre Kasavubu viene allontanato dalla politica.

Il Primo Ministro Patrice Lumumba poco prima di essere assassinato

Quella che è considerata la prima fase della crisi del Congo, si chiude con l’omicidio di Lumumba, catturato mentre tenta la fuga dagli uomini del colonnello Mobutu il 1° dicembre 1960. Trasferito in Katanga, Moise Tshombe ne ordina l’esecuzione il 17 gennaio 1961.
Mobutu, alla guida del direttorio militare e forte del sostegno statunitense, riannette il Kasai e rovescia il governo di Stanleyville, guidato Antoine Gizenga, fedele ex-ministro lumumbista.
Nel Katanga la guerra si combatte ferocemente a più riprese tra la fine del 1961 ed il gennaio 1963. Vittima del conflitto fu anche il segretario delle Nazioni Unite Dag Hammarskjöld, abbattuto con il suo staff il 18 settembre 1961 sopra la Rhodesia mentre si reca in Katanga per discutere di una possibile tregua con Tshombe.
Il presidente americano John F. Kennedy sostiene considerevolmente l’imponente operazione militare delle Nazioni Unite “Grand Slam”, che porta Tshombe a dichiarare la fine della secessione il 14 gennaio 1963, per poi riparare nella Spagna di Franco.

Il Congo è finalmente riunificato. Mobutu lascia spazio ad un nuovo governo civile, sancendo la definitiva fine della crisi del Congo.
Tuttavia, il 24 novembre 1965 la prima Repubblica congolese cessa di esistere. Il colonnello Mobutu ritorna al potere con un secondo colpo di stato ed instaura una truce dittatura personale. Caduto il Muro, l’eccentrico dittatore perde il pilastro del suo potere. La rivolta dei simba – leoni, in swahili – guidata per anni da Laurent-Désiré Kabila culmina in quella nella Prima Guerra del Congo (1996-1997). Il regime cade e nasce l’attuale Repubblica Democratica del Congo.
Lungi dall’essere pacificato, appena un anno dopo in Congo scoppia il conflitto ricordato come “la Grande Guerra Africana”, cioè la Seconda Guerra del Congo. Le violenze durano fino al 2003, e si lasciando dietro il peggior bilancio della storia africana: 5,4 milioni di morti. Nessun conflitto ha fatto così tanti morti dalla Seconda Guerra Mondiale.
Entrare nei dettagli dell’attuale situazione congolese richiede un altro lungo discorso. Secondo la FAO 5.6 milioni congolesi soffrono di acuta insicurezza alimentare, 5 milioni sono i profughi interni che fuggono dall’oriente e dal Kasai, nel meridione, mentre 9.5 milioni persone sono colpite dai conflitti e dai disastri naturali.  Il retaggio di anni di dominio spietato e di guerre incessanti pesa ancora sullo sviluppo della RDC e continua a mietere vittime ogni giorno.

Per approfondire – Bibliografia

D. Van Reybrouck, “Congo”, Universale Economica Feltrinelli, 2016

A.M. Gentili, “Il leone e il cacciatore”, Carocci editore 2015

D. Rossi, “Patrice Lumumba, il Congo, l’Africa”, PGreco Edizioni, 2015

B. Droz, “Storia della decolonizzazione nel XX secolo”, Bruno Mondadori, 2007

R. Kapuscinski, “Stelle Nere”, Universale Economica Feltrinelli, 2016