Roberta Giannì
L’uomo è un animale sociale. Siamo abituati a vivere a contatto con gli altri, in città rumorose e caotiche, in cui ansia e stress fanno da padroni di casa. Ma fino a che punto siamo in grado di far parte di questa realtà?
Nel 2018 la scrittrice Karen Rosenkranz ha raccolto in un libro dal titolo City Quitters: An Exploration of Post Urban Life alcune delle informazioni chiave riguardanti una recente categoria umana, i city quitters.
Un city quitter è colui che sceglie di fare le valigie e fuggire dal caotico tessuto urbano di cui fa parte a favore di una vita più tranquilla in ampi spazi naturali. In realtà, se ci soffermiamo un momento sul passato, non è del tutto corretto affermare che tale categoria sia recente: per gli antichi romani, le ville di campagna erano un’occasione per staccarsi dalla vita pubblica in città e dedicarsi all’otium (attività letteraria e cura della casa); artisti e poeti si immergevano spesso nella natura, uno spazio di pace e silenzio in cui poter riflettere e dar sfogo ai propri sentimenti e alla propria creatività. Questo fenomeno oggi si ripete: nel 2021, ancora una volta la città è messa in discussione.
È innegabile affermare come le città siano diventate col tempo invivibili. Lì la vita è cara e frenetica, in tre parole quello che la logica francese chiama “métro, boulot, dodo” (modo di dire francese che rimanda allo stile di vita parigino tutto “metro, lavoro, letto”); è inquinata, e ormai viviamo in un secolo in cui sostenibilità e ambiente hanno preso il loro posto nella lista delle questioni su cui è doveroso riflettere e intervenire; è intaccata nella sfera psicologica e sociale e ci conduce verso stress, poca intimità, ansia e una continua sensazione di essere intrappolati in uno spazio angusto. L’utopia delle smart cities, in cui le tecnologie ci avrebbero permesso una maggiore partecipazione alla collettività, si è mutata in una realtà fatta di strutture di costante sorveglianza. Aggiungiamo un contorno di pandemia, regole sociali e coprifuoco ed è fatta: siamo prigionieri di un sistema che noi stessi abbiamo creato.
Non c’è da stupirsi dunque se qualcuno decide di staccarsene: secondo Giacomo Biraghi, esperto di strategie urbane e city quitter che vive a 1.700 metri di latitudine sulle Alpi, questa “migrazione” ha dei caratteri unici: non esiste, infatti, una contrapposizione netta tra chi sceglie di vivere in campagna e chi resta in città. Quello dei city quitters è una specie di cambio di residenza, non si spostano in campagna per cambiare le proprie abitudini ma per cambiare l’ambiente in cui muoversi, mantenendo tuttavia i contatti con la rete urbana da cui provengono e le proprie ambizioni lavorative. C’è già chi pensa a loro: gli iXem Labs del Politecnico di Torino hanno sviluppato delle soluzioni innovative per ridurre quel divario digitale che ben conosciamo tra le città e gli ambienti rurali. Se si decide di organizzare una scampagnata o di fare trekking con gli amici, si deve mettere in conto il totale isolamento digitale negli ambienti naturali, dettato dal fatto che le zone in questione non sono coperte dalla rete Wi-Fi. Con l’avvento delle WISP (Wireless Internet Service Provider), stazioni radio Wi-Fi indipendenti dalla ricezione telefonica, il segnale Wi-Fi è trasmesso anche dove le tacche dello smartphone sono azzerate: gli iXem Labs detengono il record di trasmissione del segnale lungo i 700 chilometri che separano la Sardegna dalla Spagna.
I city quitters sono la dimostrazione del fatto che la scelta della vita in campagna non esclude automaticamente la città. Essi fanno parte delle metropoli ma scelgono di viverle a metà, per rivedere le proprie priorità, per avere più tempo da dedicare a se stessi, per stare più a contatto con la natura e scoprire cosa circonda la bolla in cui siamo prigionieri.
La domanda sorge spontanea: cosa ne sarà delle città?
Il sociologo americano Richard Florida propone un futuro positivo, in cui le città probabilmente sopravvivranno. Magari lo spostamento di gruppi umani dalle città agli ambienti rurali permetterà una sorta di reset del tessuto urbano, che potrebbe nuovamente attirare quelle stesse categorie che ha fatto fuggire. Possiamo dunque rendere le città più a misura d’uomo? Certo, attraverso l’incremento di spazi verdi, piste ciclabili e luoghi in cui staccarsi per un momento dal resto, fare un bel respiro e ripartire.