Nicolò Errico
Da qualche anno, il Mozambico, ed in particolare la provincia settentrionale di Cabo Delgado, è diventato l’epicentro di una grave insurrezione jihadista, guidata dal gruppo Ansa al-Sunna, o ‘Al-Shabaab’. Il consorzio di terroristi islamici e criminalità organizzata è stato in grado di mettere in difficoltà le numerose compagnie petrolifere presenti nell’area – tra cui l’ENI. La paura di perdere i ricchissimi giacimenti di petrolio ha spinto diversi governi – in particolare Cina, Russia, Tanzania, Sud-Africa e Stati Uniti – a sostenere lo sforzo dello Stato mozambicano, tuttora impegnato in un difficile conflitto senza esclusione di atrocità da entrambe le parti.
L’esplosione dei disordini è da imputare a diversi fattori sociali, economici e politici, oltre che alle dinamiche continentali del jihadismo africano. Alcuni di questi sono problemi strutturali, se non anche istituzionalizzati, nel sistema-paese, mentre in altri casi si tratta di contingenze sfavorevoli. La loro congiuntura ha provocato l’insurrezione, che sta mettendo tuttora a rischio il fragile paese africano.
Il primo fattore è sicuramente l’irrisolto problema della democrazia.
In Mozambico, il potere venne concesso dal Portogallo, dopo una lunga guerra di liberazione, attraverso l’accordo di Lusaka (7 settembre 1974). L’indipendenza fu definitivamente sancita dalle elezioni del 25 giugno 1975, che portarono al potere il FRELIMO (Frente de Libertação de Moçambique), il partito marxista che aveva guidato la lotta contro i colonizzatori.
Le disastrose politiche economiche del partito alimentarono l’opposizione armata della RENAMO (Resistência Nacional Moçambicana), le cui attività erano cominciate già nel 1975 grazie al sostegno dei regimi razzisti del Sud-Africa e della Rhodesia.
Dopo circa un milione di morti e quattro milioni di profughi, senza che l’assetto politico mutasse significativamente, il 4 ottobre 1992 a Roma, il presidente mozambicano e segretario del FRELIMO Joaquim Chissano e Afonso Dhlakama, leader della RENAMO, firmarono un Accordo Generale di Pace, che trasformava il paese monopartitico in un sistema democratico multipartitico.
Tuttavia, il FRELIMO rimase un partito egemonico in un sistema parlamentare di fatto bipartitico, con il Parlamento spartito solo con la RENAMO, nonostante la registrazione di oltre 40 partiti ed un sistema elettorale proporzionale. Il numero dei votanti è costantemente diminuito nel tempo, fino a raggiungere percentuali sotto il 50% (2004). La scarsa partecipazione elettorale e il governo ininterrotto del FRELIMO destano seri dubbi sull’effettivo funzionamento della democrazia mozambicana. Le continue tensioni tra i due partiti hanno portato i leader a stipulare successivamente altri accordi di pace – di cui l’ultimo nell’agosto 2019.
E’ evidente che l’ininterrotta belligeranza potrebbe portare facilmente ad un nuovo conflitto civile.
L’altro grave problema che affligge il paese è certamente la povertà endemica.
In Mozambico, secondo i dati dell’UNDP, il 72,5% della popolazione è multidimensionalmente povera, con un aggiuntivo 13,6% vulnerabile alla povertà.
Lo Human Development Index (HDI) pone il Mozambico al 180° posto su 189 insieme ad un’identica posizione alla voce “Socio-economic sustainability”. Il 62,9 % della popolazione vive al di sotto della soglia mondiale di povertà (stabilita a PPP $1.90 per giorno dallo UNDP), mentre se viene basata sulla soglia nazionale si tratta del 46,1% della popolazione.
Mortalità al parto (489 ogni 100.000 nati vivi nel 2015), mortalità infantile (53,3 morti ogni 1000 nati vivi), tasso di completamento degli studi primari (46,6% nel 2007) o accesso all’elettricità (24,2% sulla popolazione del 2016) rimangono al di sotto degli standard regionali, nonostante gli investimenti da parte dello Stato. Inoltre, i pochi miglioramenti non sono equamente distribuiti, bensì si concentrano nelle aree urbane, lasciando quelle rurali in uno stato di povertà estrema che diventa così terreno fertile per guerriglia e malcontento.
La corruzione diffusa mina ulteriormente la già scarsa fiducia nelle istituzioni.
Uno studio del Centro de Integridade Pública and the Chr. Michelsen Institute ha stimato che il costo medio annuale in corruzione dal 2004 al 2014 è stato di US$ 4,9 miliardi, uguali al 60% del budget nazionale del 2015. Il tragico scenario è diventato evidente al resto del mondo nel 2016.
Quell’anno lo ‘Hidden Debts Scandal’ colpì l’establishment mozambicano. Si trattò infatti del più grave scandalo nella storia del paese in termini di denaro coinvolto (US$ 200 milioni secondo il Dipartimento di Giustizia statunitense) e l’impatto sul paese reale fu talmente duro da contribuire alla generale recessione economica del paese.
A seguito della rivelazione dello scandalo, Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) sospese il credit facility di US$ 283 milioni. Il G14, il gruppo dei maggiori donatori internazionali del Mozambico, tra cui l’Italia, sospese US$ 300 milioni di aiuti al budget governativo.
Il generale disagio e la povertà endemica, insieme alla generale percezione di uno Stato senza accessi democratici o interesse per la popolazione, nutrono la criminalità, che in Mozambico si dedica per lo più al settore ambientale (traffico di flora e fauna protette), diamanti, al traffico di eroina ed esseri umani.
Nell’ Organized Crime Index (OCI), il Mozambico viene posizionato al 14° posto su 54 Stati Africani e 2° su 13 Stati Africani meridionali. Il ruolo dominante nei traffici illeciti viene esercitato da state-embedded actors, criminal networks e foreign actors (in particolare di provenienza dall’Asia Orientale), che riescono ad operare grazie ad una generale impunità da parte di un inefficiente sistema giuridico e alla mancanza di mezzi appropriati nelle forze dell’ordine per un’adeguata law-enforcement. Gli state-embedded actors, cioè attori criminali inseriti nelle istituzioni, sono i più influenti, chiaro segno di una forte collusione tra Stato e criminalità organizzata. I rapporti dell’OCI segnalano inoltre come l’insurrezione jihadista sia finanziata dai traffici criminali – in particolare quelli di eroina, legname, animali selvatici, diamanti e contrabbando di esseri umani -, che nell’area prosperano grazie al supporto delle élite locali organizzate in vere e proprie cosche. Tuttavia, sempre secondo l’OCI, la generale stanchezza per la criminalità, insieme al malcontento ed all’assenza di opportunità per i giovani, è stata determinante nel favorire l’adesione all’Ansa al-Sunna, che nonostante ciò fa dei traffici illegali la principale fonte di reddito.
La pandemia globale del Covid-19 non può che aggravare la situazione già disastrosa.
Secondo un recente studio della Confederação das Associações Económicas de Moçambique, le attività private hanno perso circa US$ 436 milioni, col rischio concreto che la perdita raggiunga la cifra di US$ 951 milioni. La contrazione prevista potrebbe essere dello 0,5 del PIL.
Le scarse infrastrutture e la crisi economica hanno esposto ancora di più la popolazione alle calamità naturali, già frequenti nella forma di alluvioni e cicloni, ma mai dell’intensità che ha colpito il paese tra marzo e aprile 2019.
Per primo ha colpito il ciclone tropicale Idai, il più letale mai registrato nella regione dell’Oceano Indiano Sud-Orientale (1300 morti), oltre che il più economicamente dannoso nella storia climatica dell’area, a cui seguì una grave epidemia di colera.
Appena un mese dopo, il ciclone Kenneth – il più intenso nella storia mozambicana dall’inizio delle rilevazioni meteorologiche – causò altre morti ed una tale devastazione da spingere gli insorti dell’area di Cabo Delgado (dove più di 2000 abitazioni furono annientate) a sospendere le azioni di guerriglia fino al 3 maggio.
Il Mozambico rappresenta il crocevia dei problemi del mondo contemporaneo, ed in particolare del sofferente continente africano – cambiamento climatico, jihadismo, criminalità organizzata, corruzione alimentata ai livelli più alti, autoritarismo mascherato da democrazia, welfare pressoché inesistente e sovranità statale minacciata (o svenduta) a Paesi terzi interessati al settore energetico.
Evitare che un paese promettente come lo era il Mozambico fino a qualche anno fa si trasformi nel nuovo paese-martire dell’Africa (definizione usata per indicare il Congo-K. post-decolonizzazione) rappresenta una sfida che presto o tardi molti altri Paesi saranno chiamati a superare. E per la quale, a giudicare dai fatti, non sembriamo pronti.