Enrico Molle
Pochi mesi fa, alle Idi di Marzo, l’Italia intera si apprestava a vivere la sua prima domenica di “lockdown”, termine inglese che va a sostituire la nostrana “quarantena”, secondo un’usanza sempre più in voga della nostra politica che predilige l’utilizzo di termini anglofoni. Nessuno poteva prevedere cosa sarebbe successo di lì a poco, ma la gente venne rassicurata che se tutti avessero fatto il loro dovere e avessero seguito le regole, nel giro di alcune settimane il virus conosciuto come Covid-19 sarebbe probabilmente scomparso. Ovviamente a molti risultava difficile immaginare che il tutto sarebbe durato molto di più.
Assodato il fatto che in un mondo ormai assuefatto dalla globalizzazione, con una popolazione che sfiora gli otto miliardi di persone, non si possa interrompere completamente la diffusione di un virus così contagioso e che quindi al massimo lo si possa arginare, gli italiani hanno accettato dignitosamente di passare due mesi, scanditi a suon di D.P.C.M. che prolungavano e talvolta inasprivano le misure restrittive, completamente serrati in casa. Era una situazione mai vista e ci si fidava di chi prendeva le decisioni, nonostante i sacrifici e i disagi dovuti alla drammaticità del momento, che vedeva una Nazione intera paralizzata.
Al motto “andrà tutto bene” che tanto ci ha unito, durante quei due mesi abbiamo resistito con veemenza e una volta finito il lockdown se ne è parlato ovunque fino allo sfinimento, dai salotti televisivi vuoti alle cene tra congiunti, e la gente ha cercato di cancellare in fretta una così brutta parentesi, tanto che oggi, a distanza di appena cinque mesi, sembra tutto un brutto ricordo. O quasi.
Già, perché da pochi giorni, circa 25 milioni di italiani (a tale cifra ammonta il totale della popolazione delle cosiddette regioni arancioni e rosse, secondo la divisione operata dal governo per stabilire i vari livelli di rischio), poco meno della metà dell’intera popolazione, vivono nuovamente l’incubo del lockdown. Il resto del Paese è comunque sottoposto a regole rigide, ma che permettono un minimo di vita regolare. A questo punto è lecito prendere atto che, dopo uno sforzo immane fatto pochi mesi fa, qualcosa non abbia funzionato. Una seconda ondata era già paventata ad Aprile, nel pieno della prima, eppure nei mesi che vanno dalla fine del primo lockdown a oggi, sembra che poco o niente sia stato fatto per evitarla.
La sensazione è che, nella stagione estiva, si sia data troppa libertà a persone che obiettivamente non hanno saputo gestirla. Non si può discutere sul fatto che scelte come quelle di riaprire le discoteche, luoghi dove solo pensare di bloccare o tracciare il contagio suona come una barzelletta, siano state a dir poco azzardate, e tanto meno si può discutere che la totale mancanza di controlli nei luoghi dove potevano verificarsi degli assembramenti ha necessariamente influito sulla circolazione silenziosa del virus.
D’altro canto, in un mondo dove esistono teorie esilaranti come quelle dei negazionisti, ancor più azzardato è risultato aprire tutte le frontiere senza attrezzarsi a dovere per eseguire ispezioni serrate ed efficaci. È stato permesso quasi a tutti di fare un po’ quello che gli pareva per tutta l’estate e inevitabilmente questo ha portato a rendere ancora più pericolosa quella temuta seconda ondata, che comunque sarebbe arrivata a prescindere. In uno scenario del genere, viene da pensare che il calo dei contagi nei mesi caldi, in qualche modo vada di pari passo col calo dei tamponi.
Di fatto, a metà settembre gli italiani hanno ricominciato a parlare di Covid-19, ad aspettare con trepidazione le cifre giornaliere dei positivi e le dirette in cui venivano chiarite le nuove restrizioni, questa volta presentate con un tempismo settimanale, nemmeno fosse una serie televisiva, quasi a farci indorare la pillola, ed ecco che l’incubo si è ripresentato e il Paese è di nuovo in piena emergenza. Purtroppo la totale mancanza di responsabilità nella maggior parte delle persone, che non ha saputo gestire la libertà concessali, ha contribuito enormemente a complicare una situazione già critica, per cui siamo tutti vittime e carnefici allo stesso modo. Tuttavia, non serve essere un genio per rendersi conto che dalle autorità non è stato fatto abbastanza per non sprecare quanto di buono fatto tra Marzo e Maggio, quando l’Italia ha fatto la difficile, ma coraggiosa scelta di fermarsi.
Ora siamo nuovamente fermi, bloccati da regole che fanno discutere e che seguono criteri che si fa fatica a comprendere. La salute di tutti è la cosa più importante che ci sia, questo è saldamente incontestabile, ma nel frattempo si dimenticano colpevolmente i disagi e si frenano bruscamente gli affetti, che per molti sono l’unica cosa a cui aggrapparsi in un’epoca grigia. Si separano nuovamente, dopo averlo fatto già per due mesi, parenti e innamorati, rendendo paradossalmente possibile andare a comprare un profumo, ma impedendo di salutare anche da lontano la persona a cui lo si vorrebbe regalare. I singoli restano fuori, esclusi e abbandonati, purché la grande macchina, seppur claudicante, avanzi senza scrupoli, e le scelte sono presto fatte: meglio migliaia di persone nei locali fuori controllo in una notte d’agosto che oggi un bacio tra due fidanzati distanti una manciata di chilometri, più incosciente un abbraccio tra nonni e nipotini che la totale assenza di controlli sulle disposizioni anti-contagio poche settimane fa. E la lista potrebbe continuare, perché oggi gli scontenti sono molti, ma gli sconfitti siamo tutti. E a proposito, no, non è andato tutto bene.
Al netto di queste considerazioni e del fatto che l’emergenza dilaga in ogni Stato, una riapertura oculata e monitorata, ma costante, ci avrebbe fatto evitare un nuovo arresto? Una libertà a metà, da protrarsi per più mesi, sarebbe stata meno pesante, sia economicamente che psicologicamente, di un’alternanza tra riaperture totali e serrate altrettanto brusche?
Come sempre, ai posteri l’ardua sentenza. Nel frattempo, visto il momento buio, ci affidiamo alla speranza.
Post Scriptum. È di pochi giorni fa la notizia che in Danimarca una mutazione del virus Covid-19 proveniente dai visoni abbia contagiato alcune persone e che per evitare un’altra pandemia, rendendo inefficace un eventuale vaccino studiato per sviluppare gli anticorpi specifici, si sia scelto di sterminare tutti i diciassette milioni di visoni presenti nello Stato scandinavo, completando l’uccisione di alcuni milioni di esemplari già iniziata il mese scorso. Il virus, finora, ha ucciso nel mondo poco più di un milione di persone (sia chiaro che il rispetto e il cordoglio va a ogni singola vittima) e vien da pensare che in una cosa sia simile agli umani, ovvero nel concetto che si racchiude nella dicitura latina mors tua, vita mea, perché l’uomo in quanto uomo non ha nessun diritto di commettere uno sterminio, ma ce l’ha solo in quanto animale.