“L’urlo” di Edvard Munch, 1893, Galleria Nazionale di Oslo
Enrico Molle
Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto a una palizzata. Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura… E sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura.»
Questo poemetto, rielaborato da un ricordo che il pittore Edvard Munch aveva annotato su una pagina di diario, è visibile sulla cornice dell’opera L’urlo della versione del 1895. Di fatto, del celebre dipinto dell’artista norvegese esistono quattro versioni, realizzate tra il 1893 e il 1910. La più celebre, ovvero la seconda risalente al 1893 (vittima di due furti nel 1994 e 2004 che ne hanno aumentato la fama), è oggi conservata presso la Galleria Nazionale di Oslo, ma è stata raramente esposta al pubblico per evitare il suo deperimento.
Negli ultimi mesi sembra però essersi accesa una luce in fondo al tunnel, infatti un team internazionale guidato dall’italiana Costanza Milani, direttrice dell’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del Cnr, è giunto alla conclusione che a minacciare la lucentezza dei colori non è la luce, come si credeva finora, ma l’umidità.
Dai dati pubblicati sulla rivista Science Advances, si evince che i pigmenti, in particolare quelli relativi al giallo di cadmio, molto amato dall’artista, soffrono se l’umidità relativa supera il 45%, ma sono invece stabili in diverse condizioni di illuminazione. Si tratta chiaramente di una scoperta sensazionale, anche in relazione alla conservazione di altre opere, poiché l’umidità nelle sale è facilmente regolabile, mentre schermare la luce risulta spesso un problema.
Lo studio, condotto nell’ambito del progetto europeo Iperion-CH relativo alla conservazione del patrimonio culturale, ha eseguito indagini spettroscopiche e test con raggi X al sincrotrone di Grenoble su micro-frammenti prelevati dall’opera. I dati sono stati integrati con quelli ottenuti da uno studio parallelo svolto invecchiando artificialmente il contenuto di un tubetto di colore giallo cadmio appartenuto all’artista.
I risultati di tale analisi e il metodo adottato potranno rivelarsi utilissimi anche per l’analisi e la conservazione dei capolavori di altri artisti, considerato anche il diffuso utilizzo dello stesso giallo cadmio da parte di pittori contemporanei a Munch, come Vincent Van Gogh ed Henri Matisse.