Roberta Giannì
Ogni guerra ha le sue vittime e non sempre sono vite umane. Dopo quel video in cui si assisteva alla distruzione, da parte delle milizie dell’Isis, dei Grandi Iwan, i templi principali al centro della città, di Hatra nessuno aveva avuto più notizie.
Hatra, in arabo الحضر , è un’antica città in rovina nell’Iraq settentrionale, all’incrocio di vie di comunicazione tra la Mesopotamia centrale, la Siria e il Mediterraneo. Città fortificata, resistette a vari assedi romani poi, a seguito della sua caduta nel 240-241 d.C. per mano dei Sasanidi, venne progressivamente abbandonata, conservando tuttavia l’ancora visibile impianto urbanistico con all’interno i templi e quelle fortificazioni che l’avevano a lungo protetta. All’inizio del XX secolo, l’archeologo tedesco W. Andrae documentò attraverso disegni e fotografie lo stato di conservazione in cui si trovava Hatra, evidenziandone le emergenze architettoniche; poi, scavi archeologici e restauri partirono nel 1951 sotto il controllo della Direzione Generale delle Antichità Irachene, rivolti soprattutto alle aree religiose e alle maggiori evidenze monumentali.
Il fatto di essere Patrimonio dell’UNESCO non ha fermato la forza distruttrice delle milizie dell’Isis le quali, insediatesi tra le antiche rovine del sito, ne avevano fatto per tre lunghi anni un campo di addestramento e un poligono da tiro, distruggendo con spavalderia archi e sculture, documentando tutto con video che venivano poi diffusi al resto del mondo in cui li si vedeva tirare giù colossali maschere di pietra a colpi di fucile. Poi, il cuore degli archeologi sussulta: sui canali social delle Forze di mobilitazione popolare vengono diffuse alcune immagini che testimoniano la tanta sospirata liberazione del sito, strappata dalle mani annientatrici dell’Isis. Per Hatra c’è ancora una speranza e il primo a rimettere piede sul sito è un team di archeologi italiani, i primi testimoni della cieca crudeltà umana nei confronti del passato e della memoria. Il team, diretto dal prof. Massimo Vidale dell’Università di Padova, si aggira tra le macerie che restano di Hatra, ne raccoglie i pezzi e tenta di ricostruire quei monumenti che la rendevano meta prediletta di turisti e studiosi. “Noi siamo stati i primi a tornare lì” racconta il professore, “abbiamo visto una statua presa a fucilate, abbiamo cercato i pezzi e li abbiamo raccolti, per avviare il progetto di ricostruzione”.
Ma perché questo feroce accanimento contro uno dei siti archeologici più importante e più conosciuto al mondo?
“Per motivi propagandistici e mediatici” spiega il professore, dunque un messaggio per l’Occidente, gesti che esprimono l’intenzione di non fermarsi davanti a nulla e che mirano a distruggere l’idea di Patrimonio storico umano. E in questo scenario gli archeologi sono come sopravvissuti che ritornano nelle loro case, alla ricerca di ciò che è rimasto, per raccogliere i cocci e ripartire da zero. Alla missione partecipano esperti del Medio Oriente e del restauro, di topografia ed archeologia del paesaggio, in stretta collaborazione con lo State Board of Antiquities and Heritage Iracheno. Insieme hanno visitato ogni stanza del complesso monumentale di Hatra schedandone i livelli di conservazione, mentre i colleghi dell’Università di Siena facevano sorvolare i loro droni su l’intera città ricreandone una mappatura 3D ad alta definizione. Obiettivo: conservazione del Patrimonio di Hatra e riqualificazione a sito archeologico turistico.
Hatra non è l’unica vittima di guerra, sono molti altri i siti colpiti, e il rischio di danni al patrimonio artistico-culturale è ancora estremamente alto. Come non ricordare Ninive, antica capitale dell’impero assiro, anche lei vittima del conflitto, anche lei in via di ricostruzione a seguito di mappature dei livelli conservati e non, per contenere quanto più possibile il danno che già si presenta immenso. “È importante fare qualcosa per questo paese che sembra senza speranza” afferma il prof. Vidale che insieme al suo team dell’Università di Perugia e ad altri colleghi si è assunto l’arduo compito della ricostruzione in un clima che ancora è molto teso, con situazioni in cui si è in pericolo di vita, con difficoltà dovute alla corruzione la quale impedisce il normale funzionamento delle istituzioni, tutto ciò per riportare in vita pezzi di storia umana, che così, forse, non sarà persa completamente.