Alfonso Martino
Grazie al movimento Me Too, nato dopo lo scandalo Weinstein, le donne hanno avuto modo di far sentire la propria voce riguardo alcune tematiche, come la parità salariale. Ciò ha avuto ripercussioni in tutti gli ambiti, compreso il mondo dello spettacolo, che ha elaborato storie con protagoniste femminili forti e indipendenti. Allo stesso tempo, le donne del settore hanno lamentato una mancanza di riconoscimenti in ruoli che vede di solito premiati gli uomini, come la regia.
La regista coinvolta nella discussione è Greta Gerwig, che ha diretto e riadattato Piccole Donne, scritto da Louisa May Alcott nel 1868 e considerato un classico della letteratura americana. Protagoniste della vicenda sono le sorelle March, legate da un forte rapporto nonostante i diversi caratteri. Nel cast figurano Saoirse Ronan e Timothee Chalamet che interpretano rispettivamente Jo March e Laurie Lawrence. La pellicola copre tutta l’opera della Alcott, compreso Piccole Donne Crescono.
La regia porta lo spettatore a guardare la vicenda in maniera non didascalica, attraverso salti temporali che in un primo momento possono recare confusione a chi non conosce il libro; si passa da sequenze caratterizzate dai toni caldi, in particolare nelle scene che riprendono la prima parte del libro, a toni più freddi, che si contrappongono a momenti più cupi o di tensione presenti nella seconda, come il pomeriggio in spiaggia di Jo e Beth, in cui la regista mostra la malinconia attraverso la vicinanza delle due sorelle, quasi formassero un corpo solo, circondate da un cielo color ghiaccio. In questo segmento trovano spazio inquadrature che rendono omaggio all’impressionismo, in particolare nelle scene ambientate a Parigi, culla del movimento pittorico. La macchina da presa cristallizza il legame tra le donne di casa March in una sequenza particolare: durante la vigilia di Natale le sorelle si stringono intorno alla madre, che legge loro una lettera inviata dal loro padre impegnato nella guerra di secessione come cappellano. Qui emerge il valore della famiglia, vista come porto sicuro; lo stesso in cui si rifugia Laurie, loro vicino di casa la cui famiglia è composta soltanto da suo nonno e che vede in casa March un nido protettivo.
Il materiale preesistente viene rispettato dalla regista ma viene arricchito da una scrittura moderna di cui beneficia non solo Jo, che lega la Alcott e la Gerwig grazie alla sua passione per la scrittura, ma in particolare Amy, personaggio che ha ricevuto nuova linfa dall’adattamento e interpretata da Florence Pugh, dove in un dialogo con Laurie analizza il ruolo della donna nella società, che non le permette di lavorare e di far fruttare il suo talento, e gli effetti del matrimonio, dove le donne si ritrovano a non possedere nulla, poiché ogni bene diventa proprietà del marito.
La regista ha dichiarato in un’intervista che questo discorso è stato ispirato da Meryl Streep, interprete della burbera zia March, che le ha chiesto di far capire al pubblico non solo l’impossibilità delle donne di avere voce in capitolo per quel che riguarda il voto e il lavoro, ma anche la mancanza di controllo sui propri beni.
Greta Gerwig si dimostra una regista talentuosa, capace di gestire un cast di livello e adattare una storia già nota ai giorni nostri ma le critiche fatte da coloro che la volevano nella rosa dei candidati ai Golden Globes risultano sterili; impossibile mettere da parte autori come Scorsese, Tarantino, Mendes, Bong Joon – Ho e Phillips che hanno portato sul grande schermo storie altrettanto importanti e girate in maniera superiore.