di Lorenzo Olivieri
Nel 1899, il libro “L’interpretazione dei sogni”, di un giovane medico austriaco, aveva scosso per sempre l’ambiente medico mondiale. Le teorie rivoluzionarie di Sigmund Freud, accolte con scetticismo o con entusiasmo dal panorama scientifico, erano riuscite comunque a cambiare il modo di vedere l’essere umano: non più solo un fisico, che può essere sano o malato, ma anche dimensione psichica che può ammalarsi e che può essere analizzata attraverso il sogno e poi essere curata. La riflessione psicoanalitica di scuola freudiana non lascia soltanto uno scossone in ambito medico, ma anche quello letterario non ne è immune: James Joyce e il nostro Italo Svevo devono molto alla ricerca psicologica, che cambierà per sempre la letteratura europea.
Ma forse è un altro il romanzo che deve di più a Freud: il romanzo Traumnovelle, tradotto in italiano Doppio Sogno (che ricorda anche nel titolo il nome originale dell’Interpretazione dei sogni, Die Traumdeuteung) giungendo poi nei risultati a conclusioni autonome, cosa che lo stesso Freud riconoscerà in un vivace scambio epistolare tra lui e lo scrittore Arthur Schnitzler, anche lui medico e psicoanalista viennese.
Pubblicato nel 1926, il libro è ambientato in una Vienna nebbiosa e notturna, tanto da non sembrare che esista il giorno in questa città, in un’azione che si svolge interamente in due giorni. Una conversazione tra il medico Fridolin e sua moglie, all’apparenza banale, sconvolge per sempre la vita coniugale dei due: il medico, profondamente turbato da alcune confessioni che la moglie gli racconta, esce di casa e comincia a passeggiare senza meta per la surreale Vienna di inizio secolo, in un turbinio di sensazioni che lo spingono in feste dal sapore pericoloso e prostitute che lo ammaliano.
In origine, il romanzo si chiamava Doppelnovelle, doppia novella. La novella, infatti, costruita magistralmente secondo un’architettura duplice e simmetrica, mette in moto entrambe le storie di Fridolin e sua moglie Albertine: se quella di Fridolin è più reale, ma allo stesso modo onirica, col suo errare per Vienna con incontri surreali e feste perverse dell’alta nobiltà viennese, la storia di Albertine, solo all’apparenza moglie e madre rassicurante, è quella del sogno. Albertine si abbandona alla dimensione del sogno in cui ogni desiderio represso, inesprimibile e inconfessabile poiché perverso e sbagliato (soprattutto per la morale della Vienna di inizio secolo).
Racconta nella confessione iniziale del suo incontro con un ufficiale danese durante l’estate prima e di quanto l’avesse turbata poi in sogno. Anche se il loro incontro non aveva mai portato a nulla di fisico, questa confessione sconvolge suo marito. Sonno e veglia si sfiorano, si scambiano perdendo l’uno i confini nell’altro. Quanto di quello vissuto da Fridolin è vero, quanto di quello vissuto da Albertine è solo sogno?
Anzi, la conclusione a cui arriva Schniztler è ancora più radicale. Il sogno è ancora più pericoloso e insidioso dell’avventura notturna di Fridolin, che fragile e spaventato finisce prima con una prostituta e poi quasi ucciso durante una festa privata. Il sogno esprime il nostro io più profondo, libero dalle censure della coscienza, mostrando le sue contraddizioni e il suo volto dissoluto. Le avventure di Fridolin gli sembrano “insignificanti” rispetto al sogno che la moglie gli racconta. Le esperienze della coppia, reali o sognate, rendono ancora più fragile la loro situazione, rispecchiano il disagio insito nel loro intimo, distruggono il già inconsistente ordine precostituito della stessa. L’impalcatura della società, una coppia che sembra felice e stabile è in realtà tanto delicata, e solo il sogno forse racconta la verità.
Il libro è un romanzo breve psicologico ma dalle tinte del giallo, che viene risolto soltanto alla fine, quando i doppi binari del conscio e dell’inconscio vengono riuniti. Ma vengono poi davvero riuniti? In realtà il dilemma umano della psiche continua.
Dal libro viene tratto l’ultimo film di Kubrick, Eyes Wide Shut, espressione che significa “occhi ben chiusi”, chiusi sì, ma rivolti interiormente verso l’oscuro mondo dell’io e dei sogni. Interpretato da Tom Cruise e Nicole Kidman, il film secondo alcuni è la ragione della rottura tra i due per i temi trattati e le confessioni pericolose che avrebbero minato per sempre il rapporto “idilliaco” tra i due, all’epoca coppia famosa della società hollywoodiana. Il racconto del romanzo viennese del 1926 esce per sempre dalla pura letteratura per vivere ancora, nella New York questa volta di fine secolo, ma con gli stessi dubbi e le stesse fragilità che avevano colpito Fridolin e sua moglie. Ma questa, forse, è un’altra storia.