di Enrico Molle
La violenza, pur essendo sempre da evitare, fa inevitabilmente parte della natura umana sin dalla notte dei tempi. In ognuno di noi è presente il bene e il male e sia l’uno che l’altro, trovano un’infinità di modi per esprimersi. Più spesso (e per fortuna) il bene prevale, ma nel corso della vita un’immensa quantità di variabili esterne condiziona il comportamento di ognuno di noi.
La nostra società ci ha ormai abituato alla violenza, tuttavia non in modo maggiore rispetto al passato: basti pensare alle due grandi guerre del ‘900 e agli annessi orrori, alle lotte per la conquista che hanno accompagnato l’intera storia dell’uomo, alle atrocità commesse da sempre in nome dei vari culti, dai sacrifici umani alle persecuzioni, per poi arrivare alle guerre sante. Insomma, se si analizza il decorso dell’umanità, è inevitabile non notare come la violenza abbia avuto un peso ingombrante.
Ciò che però cambia nelle diverse epoche è il modo in cui essa si manifesta. Pur basandosi sempre su un gruppo limitato di impulsi e motivazioni, la violenza è un male mutevole che sa adattarsi a ogni tipo di società, trovando il modo di manifestarsi laddove la debolezza umana si lascia corrompere: questa è la sua unica e irreprensibile costante.
L’epoca in cui viviamo, quella che grosso modo accompagna le due o tre generazioni che dagli anni ‘80 in poi si sentono sin troppo lontane dalle barbarie commesse in mezzo secolo di guerre mondali, deliri nazionalisti e illusioni dispotiche, è pregna di debolezza. Fenomeni oggi attuali come il cyberbullismo, la proliferazione dei cosiddetti haters, le svariate challenge che hanno stroncato giovani vite, sono solo la punta di un iceberg che affonda le sue radici in una gioventù che da decenni soffre dannatamente di un senso di inadeguatezza e che anno dopo anno trova il modo di lasciare la sua eredità malsana ai nuovi arrivati.
In un mondo che sembra non riuscire più a contenerci tutti e che moltissimi contribuiscono a danneggiare, in cui i valori morali che reggono la pacifica convivenza sembrano essere calpestati senza scrupoli e sostituiti da pochi dogmi effimeri quali il denaro, il successo e il potere, sempre più ostentati in maniera deviante, l’angoscia tra i giovani prolifera in maniera deflagrante. E l’angoscia rende deboli, rende insicuri, fino a spingere alcuni, forse sempre più numerosi, a commettere atti estremi.
La cronaca nera italiana dell’ultimo ventennio, dal delitto di Novi Ligure fino al recente omicidio commesso a Manduria da una baby gang, si è arricchita di brutalità inspiegabili messe in atto da giovani ragazzi o ragazze, coloro che dovrebbero essere il simbolo della speranza e della rinascita, ma che oggi sembrano essere sempre più attratti da una spirale di violenza senza precedenti.
Eppure, in qualche modo, i primi segnali di questa escalation di crimini e soprusi sono presenti da tempo e la letteratura, come forma d’arte che esprime anche i mutamenti sociali, si era accorta di tutto questo. Nel 1996, ormai quasi 25 anni fa, usciva Gioventú cannibale, la prima antologia italiana a raccogliere una serie di racconti di estrema violenza, dalle tinte splatter, curata da Daniele Brolli e che metterà insieme un gruppo di giovani scrittori, tra i quali spiccano senza dubbio Niccolò Ammanniti, Daniele Luttazzi e Paolo Caredda.
Il libro, oggi divenuto una sorta di cult, appena uscito turbò molto i suoi lettori (d’altronde accade tutt’ora) e fece scalpore poiché, per la prima volta nel nostro Paese, venivano raccontati atti di immotivata violenza. Se per il cinema il genere splatter era già consolidato da un ventennio[1], la letteratura non aveva ancora un filone che riprendesse e indagasse gli orrori che proliferavano in maniera latente nel sottobosco sociale dei giovani dell’epoca. Di fatto, i protagonisti della raccolta, sono quasi tutti giovani, spesso di classe agiata, che per puro divertimento fanno del male al prossimo. Lo stesso curatore, nella prefazione, chiarirà subito le intenzioni del lavoro svolto affermando di voler esplorare quel male scaturito dall’assenza, dalla completa mancanza di determinazione e originato da individui senza desideri né coscienza che iniziano a produrre dolore e morte.[2]
I contenuti dell’opera tengono fede alla promessa e dieci racconti dal ritmo serrato, divisi in tre sezioni, si susseguono in maniera serrata e ci propongono pagine intrise di sesso, droga e sangue, che esprimono una trasgressione spiazzante e a tratti estranea alla realtà, ma che in qualche modo si dimostrerà profetica se si pensa a quali orrori verranno alla luce negli anni successivi con vicende di cronaca come quelle sopracitate. Ma attenzione, non bisogna commettere l’errore di ipotizzare che gli scritti contenuti nel libro possano aver condizionato gli atteggiamenti delle generazioni future, sia perché l’opera era e rimane comunque appartenente a un genere di nicchia, quindi non ha mai avuto una portata tale da influenzare le masse, sia perché la letteratura è una forma d’arte che si fa portavoce dei mutamenti sociali e Gioventú cannibale coglie in pieno una parte dell’estetica di fine millennio preesistente.
La raccolta, attraverso una serie di sperimentazioni, ha il duplice obiettivo di svelare una realtà violenta, che non è solo immaginata, e di creare un linguaggio letterario adatto a svolgere questo compito, ovvero che possa essere in grado di affrontare nel dettaglio quel male crescente che, nell’indifferenza generale schiaccia i deboli e annega ogni possibilità di comune salvezza. E chi meglio dei giovani (come appunto lo sono gli autori dei racconti, tra l’altro citati nel titolo) può creare un nuovo linguaggio adatto a raccontare una quotidianità underground che li tocca da vicino? Da questo punto di vista la scelta dell’editore Einaudi, che inserirà Gioventú cannibale nella collana Stile Libero[3] destinata principalmente a un pubblico giovane, è stata decisamente azzeccata. Gli autori chiamati a lavorare a questa antologia sono riusciti a fare un uso sapiente della lingua italiana rendendo i loro racconti estremamente “visivi”, descrivendo le scene, il più delle volte impietose, con una minuzia estrema dei dettagli.
Pur essendo i contenuti dell’antologia facilmente inquadrabili in un genere non fruibile da tutti, la cosa che non sfugge a chiunque entri in contatto con Gioventú cannibale è che l’ispirazione che ha portato alla sua nascita è la vita reale, quel mondo orribile, pieno di violenza, delitti efferati e macabri al quale siamo continuamente esposti dai media, ma al quale tendenzialmente preferiamo dare poca importanza, rassicurandoci nel sentirlo lontano dal nostro quotidiano. Nonostante siano passati più di venti anni, le pulsioni che hanno innescato i dieci racconti di quest’opera sono verosimili e assolutamente attuali.
Il
mio invito è quello di recuperare questo piccolo gioiello della narrativa
italiana per rendersi conto di come la letteratura funga, tra le altre, da
specchio dell’epoca in cui viviamo e possa permetterci di prestare attenzione a
quei mutamenti sociali che rischiano di passare inosservati e quindi risultare
dannosi.
[1] Basti pensare al successo di registi come Umberto Lenzi, Ruggero Deodato e Dario Argento.
[2] Cfr. D. Brolli (a cura di), Gioventú cannibale, Torino, Einaudi, 1996, pp. V-VI.
[3] Collana nata nel 1996 con l’intento di sperimentare e scoprire forme e generi letterari inusuali.