Strage di Fiumicino, 1985
Nicolò Errico
Dal dicembre 1969 in poi, quando le bombe di Roma e Milano aprirono la cosiddetta “strategia della tensione”, la società italiana venne travolta dal terrorismo politico, raccogliendo il maggior numero di vittime, negli anni ’70, di tutta l’Europa. Nei cinque anni di maggiore violenza, dal 1976 al 1980, ci furono in totale 9.673 atti di violenza, con una media di oltre cinque episodi al giorno nel 1979. 419 persone furono uccise e 1.181 ferite. L’anno più tragico fu il 1980, con 125 morti e 236 feriti, senza includere le vittime del terrorismo internazionale. Fu in quell’anno che avvenne la strage alla stazione di Bologna, con 85 morti e 177 feriti.
Prima del 1980, l’Italia dovette affrontare per lo più il terrorismo politico interno, nonostante qualche episodio di origine internazionale. Il primo avvenne il 17 agosto 1972, quando una bomba esplose su un aereo El Al a Fiumicino, senza provocare morti o feriti.
In generale, con i dati alla mano, è possibile affermare che l’Italia è stato il paese di gran lunga più colpito dall’attività terroristica tra il 1969 e il 1985. Gli attacchi terroristici internazionali sul suolo italiano si concentrarono per lo più nell’area metropolitana di Roma con poche eccezioni, e l’aeroporto Leonardo Da Vinci di Fiumicino fu più volte usato come snodo del traffico di armi e bersaglio. L’attacco di Settembre Nero all’aeroporto di Fiumicino (17 dicembre 1973), che causò 32 vittime (6 cittadini italiani), fu la prima vera strage di terrorismo internazionale nella storia della Repubblica.
Successivamente, l’Italia subì anche attacchi sponsorizzati da Stati terzi, in particolare dalla Libia di Gheddafi – come ad esempio la campagna di omicidi contro i dissidenti sul territorio italiano. Senza ricostruire tutta l’esperienza italiana del terrorismo internazionale – che va dalle bombe dei terroristi armeni agli assalti dei mujahideen -, si può notare come fu proprio negli ultimi mesi del 1985 che l’Italia sperimentò il punto più alto e drammatico della guerra al terrorismo internazionale.
Tra i diversi episodi – come ad esempio l’attentato al Café de Paris in via Veneto -, primeggia nella memoria nazionale il caso del dirottamento dell’Achille Lauro e la successiva crisi di Sigonella (ottobre 1985), che tra i vari effetti ebbe quello di scatenare una crisi diplomatica senza precedenti tra Italia e Stati Uniti.
Passò poco tempo prima che l’Italia venisse di nuovo sconvolta dall’ennesimo bagno di sangue.
Alle 09:10 AM del 27 dicembre 1985, quattro terroristi attaccarono le biglietterie di El-Al all’aeroporto Leonardo da Vinci-Fiumicino di Roma. I terroristi aprirono il fuoco delle mitragliatrici da tre direzioni e lanciarono bombe a mano contro i passeggeri di El-Al dal bar di fronte ai banchi della compagnia aerea. Tredici persone furono uccise nell’attacco e settantasei furono ferite. Tre degli autori furono uccisi dal personale di sicurezza israeliano – che lasciò immediatamente il paese. Un terrorista venne ferito e poi catturato. La strage si consumò in 15-20 secondi complessivi. Le vittime includevano cinque diverse nazionalità, tra cui due italiani: Francesco Della Scala ed Elena Tommarello.
Lo stesso giorno anche le biglietterie di El-Al all’aeroporto internazionale di Vienna furono attaccate dai terroristi. Tre passeggeri (due austriaci e un israeliano) rimasero uccisi e quarantaquattro furono feriti. Un terrorista venne ucciso e due catturati.
Gli “attacchi gemelli”, come vennero ribattezzati, sconvolsero l’Occidente, e portarono il governo Craxi ad una pericolosa crisi di governo che riuscì abilmente ad aggirare.
Secondo alcune fonti approvate dal giudice Rosario Priore, che indagò sul caso, il commando avrebbe dovuto prendere un aereo e farlo schiantare in Israele.
Quattro diversi gruppi rivendicarono gli atti terroristici. Alla fine vennero attribuiti al gruppo del noto terrorista Abu Nidal, stretto amico di Gheddafi e nemico giurato di Yasser Arafat, la cui fazione rappresentava una delle ali più estreme di tutto il terrorismo palestinese. Intanto l’agenzia di stampa libica Jana definiva gli attacchi come “audaci” e “operazioni eroiche”.
L’attentato di Fiumicino del 1985 rappresenta la fine ideale della storia del terrorismo internazionale in Italia – e uno dei suoi episodi più intensi allo stesso tempo. Ci fu un solo attacco sul suolo italiano più tardi, quando, il 14 aprile 1988, l’Armata Rossa Giapponese fece esplodere una bomba nei pressi di un club ricreativo dell’esercito degli Stati Uniti a Napoli, uccidendo cinque cittadini italiani.
Non solo. L’attacco di Fiumicino portò ad una svolta nella gestione della sicurezza italiana. Come sostenuto dal direttore del SISMI (il servizio segreto militare italiano) al tempo, Ammiraglio Fulvio Martini, solo dopo Fiumicino l’apparato di sicurezza nazionale intraprese i cambiamenti necessari a contrastare il terrorismo internazionale. Martini sottolineò in più occasioni che l’attacco era stato favorito dallo scarso coordinamento tra le forze dell’ordine, che consentì ai terroristi di agire nonostante i diversi allarmi del SISMI che specificavano data e il luogo dell’imminente attacco.
L’episodio Fiumicino e Vienna ebbe un importante impatto sul pianoforte internazionale. Spinse il governo degli Stati Uniti – guidato da Ronald Reagan – ad intraprendere azioni più severe nella lotta contro il terrorismo e, in particolare, contro il regime di Gheddafi. Reagan invitò i paesi europei, e in particolare l’Italia, a stabilire un embargo economico contro il regime libico, accusato, tra gli altri, di sostenere Abu Nidal.
Tuttavia, la richiesta ebbe un’accoglienza fredda tra gli alleati europei e non si tradusse in azioni concrete.
Il governo Craxi scelse di soddisfare parzialmente le richieste di Reagan senza compromettere le relazioni con la Libia, imponendo un embargo simbolico limitato alle forniture di armi contro la Libia il 9 gennaio 1986.
L’isolamento spinse l’amministrazione statunitense a ridurre le aspettative per gli alleati europei e ad intensificare unilateralmente la pressione su Gheddafi inviando la Sesta Flotta nel Golfo di Sirte nella prima metà del 1981.
I giovani che formavano i commando di Fiumicino e Vienna avevano un’età compresa tra i venti e i venticinque anni, e provenivano dai campi profughi di Sabra e Shatila in Libano. Il terrorista catturato dalla polizia italiana, Mahmood Ibrahim Khaled, rivelò molte informazioni. Il giudice istruttore Rosario Priore già il 7 febbraio 1986 emise un mandato d’arresto per Khaled e per Abu Nidal.
Il giudice istruttore Priore e il procuratore Domenico Sica conclusero l’indagine nel dicembre 1986. Secondo gli atti e l’ordine d’accusa, il massacro sarebbe stato voluto da Abu Nidal proprio per contrastare l’intenso lavoro diplomatico di Yasser Arafat con paesi amici come Austria ed Italia.
Khaled scontò ventitré anni di carcere fino al 2008, quando gli venne concesso uno stato di semi-rilascio per buona condotta. E’ più volte tornato sull’episodio per la stampa italiana, affermando il suo pentimento. La magistratura italiana avviò anche un processo contro l’Autorità aeroportuale e gli agenti di sicurezza di Fiumicino, accusati di non aver garantito un rigoroso servizio di sicurezza nonostante fossero circolati da alcune settimane gli avvertimenti del SISMI.
Il processo, durato circa quattro anni, si concluse con l’assoluzione di tutti gli imputati poiché il fatto non costituiva reato. La sentenza venne contestata dal pool di avvocati coordinato dallo Studio legale Mario e Giuseppe Lepore. Lo stesso Martini ha confermato in appello di aver diffuso diverse segnalazioni sull’imminente attacco, ma l’assoluzione venne comunque confermata, chiudendo ogni richiesta di risarcimento allo Stato italiano da parte delle famiglie delle vittime e dei feriti.
Non ci sono celebrazioni, non esistono targhe commemorative, né dichiarazioni istituzionali. 35 anni dopo quell’evento, nonostante le enormi somiglianze con gli episodi che avrebbero sconvolto l’Occidente dal 2001 in poi, il ricordo è pressoché svanito.